Transumanza. Arretratezza o modernità?

editoriale del 1.7.21 di Rocco Giorgio*

La transumanza è stata praticata intensamente nel corso dei secoli passati, tanto da segnare profondamente i caratteri economici, sociali e culturali dei popoli. Ha costituito una delle forme più antiche e di più lunga durata, di economia naturale e come in gran parte delle aree rurali del bacino del Mediterraneo, è nata dalla necessità di alimentare il bestiame che difficilmente poteva contare su condizioni agrarie e climatiche di allevamento stanziale.
Il ridimensionamento della pastorizia ed il contestuale vorticoso sviluppo della zootecnia intensiva hanno avuto conseguenze negative sulla transumanza, in particolare quella delle pecore è praticamente scomparsa al Sud, qualcosa rimane sull’arco alpino del Paese.
Al Sud, nella primavera e nell’autunno di ogni anno una moltitudine di uomini e diverse migliaia di bovini, essenzialmente di razza podolica, si mette in cammino sull’Appennino meridionale, sulle colline e le pianure delle marine, guadando fiumi e attraversando centri
abitati.
Il “reticolo viario” attraverso il quale gli allevatori si spostano dai luoghi più alti e più freddi, fruibili solo d’estate, a quelli collinari e pianeggianti, più caldi nel periodo invernale, rappresentano percorsi suggestivi che consentono di scoprire le bellezze naturali e paesaggistiche, ancora sconosciute a tanti.
E durante il viaggio ci si meraviglierà dell’immenso patrimonio costituito dalle tradizioni locali e dai saperi che si estrinsecano nella varietà del cibo e nelle feste proprie di una cultura popolare che passa attraverso lo stretto rapporto tra l’uomo e la natura, il mondo animale e il suo tradursi in riti, credenze e tradizioni.
Lungo le vie della transumanza si può leggere la nostra storia e la nostra civiltà, vivendo le suggestioni e le emozioni che ancora suscitano le antiche masserie, i luoghi di culto, i siti archeologici. Vie antiche, che stimolano il piacere di camminare a piedi, assaporando il silenzio e la serenità del paesaggio, scoprire piccoli borghi e luoghi insoliti, ritrovare la felicità
nella semplicità del cibo.
La transumanza è materia complessa, tante problematiche sono tra loro connesse e interdipendenti: la fida pascolo e gli usi civici, l’affitto di pascoli privati, non sempre disponibili o di prezzo elevato, i tratturi usurpati, il basso reddito, la carenza di manodopera, l’insufficienza delle politiche e degli interventi di sostegno, il lupo, i cinghiali, la durezza del lavoro e gli alti sacrifici sociali. E poi ci sono gli aspetti sociologici ed antropologici peculiari di questo mondo, da capire ed approfondire dentro i contesti storici e culturali con i quali si intrecciano.
La transumanza si collega ad un’attività economica basata sull’allevamento allo stato brado, in cui gli animali vivono sempre all’aperto, adattandosi alla varietà stagionale e spaziale dell’erba: l’animale si sposta laddove, in quel momento, c’è l’erba, senza impoverire e semplificare il paesaggio, ma rispettando la variabilità degli ecosistemi.
Gli animali stessi sono parte della natura e del paesaggio, lo caratterizzano e lo rendono unico e irripetibile. Essi ci dicono che è possibile ottenere cibo e nutrire il mondo senza consumare suolo, acqua e biodiversità ma contribuendo, invece, a conservare la
biodiversità degli ecosistemi e a scongiurare l’abbandono dei pascoli. In quest’ottica essa risponde esaustivamente ai grandi obiettivi che oggi si pone la comunità internazionale a difesa del pianeta, inclusi quelli di favorire attività in simbiosi con
l’ambiente e di mitigazione dei cambiamenti climatici.
Dai pascoli della transumanza si ottiene il latte che la straordinaria arte dei casari trasforma in caciocavalli, manteche, trecce e scamorze.
Ogni pascolo ha le sue erbe, diverse da zona a zona: questa diversità rende unico ognuno di questi cibi. È il cibo della biodiversità e della transumanza, un patrimonio di inestimabile valore.
Va sottolineata la peculiarità di questa attività produttiva, propria delle zone interne e di montagna atavicamente svantaggiate, per le quali la zootecnia rimane un settore strategico utile a contrastare lo spopolamento di molte aree e tutelare la coesione territoriale delle comunità.
Voglio ricordare, inoltre, la sua valenza storico culturale, ribadita dalle tradizioni popolari che ogni anno si ripetono nei piccoli comuni, come le tradizionali maschere antropomorfe di Tricarico ed i campanacci di San Mauro Forte in Basilicata.
Di tutto questo mondo così affascinante dobbiamo ringraziare gli allevatori, che custodiscono e salvaguardano un patrimonio universale riconosciuto dall’UNESCO e che meritano un riconoscimento da parte della società e delle istituzioni.


*Rocco Giorgio è veterinario in servizio al Dipartimento Politiche Agricole della Regione Basilicata, appassionato di fotografia e già autore di diverse pubblicazioni relative al settore zootecnico e in particolare sulla razza podolica.