Humus, la Rete sociale per la bioagricoltura italiana

Modelli diversi di lotta e di organizzazione dei lavoratori della terra; idee e pratiche messe a disposizione per rimettere al centro la figura dell’agricoltore e la sua responsabilità nel determinare cosa vuole produrre, come lo vuole produrre e per chi produce. Da questa ricognizione di esperienze nazionali dell’agroalimentare, che abbiamo nominato “Settimana delle Buone Pratiche”, sta emergendo un quadro complesso, in cui però a spiccare è stata la centralità della funzione dell’agricoltore e del contadino nella costruzione di processi in grado di costruire delle reti solidali di cooperazione e di attivismo.

In questo insieme di narrazioni, non potevamo non coinvolgere anche l’esempio della Rete Humus, che raccoglie in una costellazione virtuosa, soggetti organizzati nella lotta per la sovranità alimentare, nel nome di una pratica concreta del biologico, fuori dalla grande distribuzione.

La Rete Humus nasce con un fondamento culturale e politico molto forte che si basa sul dialogo continuo tra i produttori agricoli e i fruitori, nell’ottica di produrre una visione politica nuova di cambiamento del territorio, dei suoi assetti ambientali e sociali, tematizzando una parola chiave provocatoria: “bio-agricultura”.

Intorno a questa realtà si sono infatti raccolte esperienze come quella de La Terra e il Cielo, della Cooperativa El Tamiso, della cooperativa di cereagricoltori Consorzio Compro Bio Lucano, di Carpe Naturam, che raccoglie frutticoltori e agrumicoltori della Calabria.

Soggetti che, come ci ha raccontato Maurizio Agostino, portavoce della Rete, «un giorno si sono chiesti se il biologico dominato dalla grande distribuzione, fosse quello per cui avevamo lottato negli anni Ottanta e Novanta, anni in cui le prime aziende bio erano considerate delle pioniere. Abbiamo veramente lottato per vedere il biologico piegato dall’uso di mezzi tecnici che non c’entrano nulla con gli obiettivi veri, posti dall’agricoltura biologica? E per avere un’agricoltura biologica che si deve confrontare con un’idea del consumo alimentare in serie, industrializzato, e totalmente sfruttato dalle logiche di profitto? La risposta chiaramente è stata “no”».

Cosa possono fare, dunque, delle piccole organizzazioni di produttori a fronteggiare la crisi attuale del biologico?

La risposta, secondo Maurizio Agostino, risiede nel costruire un cammino, motivato da una frequentazione continua, motivata da obiettivi e strategie comuni. Un cammino che «deve cercare dei compagni di viaggio tra i consumatori, cittadini che riescono a vivere attraverso l’agricoltura e un contatto quotidiano con il cibo, ma anche tra la comunità scientifica che non accetta l’espropriazione dell’industria dell’agrofarm della filosofia del biologico».

In questo senso il rapporto diretto con il fruitore ricercato dai soggetti coinvolti nella Rete Humus, rappresenta al tempo stesso una grande opportunità di socializzazione dei processi di produzione e forse il maggior punto di forza del loro percorso.

Il consumatore/fruitore, sia singolo che associato, non assume importanza soltanto nel momento dell’acquisto di un prodotto, ma soprattutto nella scoperta di come questo prodotto riesce a vedere la luce: «abbiamo deciso di coinvolgere direttamente i consumatori che conoscono le centinaia di aziende agricole afferenti alla nostra organizzazione, mostrando loro come vengono effettuate le rilevazioni dei terreni e la valutazione della loro fertilità organica e come il concetto di “ripartenza dalla terra” non può concretizzarsi senza una rigenerazione della terra stessa e una strenua difesa della frazione organica del suolo. Concetti questi, totalmente dimenticati dalla grande distribuzione organizzata».

Un’esperienza di grande spessore emozionale, quindi, che ci racconta come consumatore e produttore possono cooperare sinergicamente, in un meccanismo virtuoso di socializzazione, interagendo fin dai primissimi istanti della coltivazione.

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