In Europa a Dobrugia, dove il suolo è ancora fra i più fertili del mondo.

per “Braccia sottratte all’agricoltura” il blog personale
di Gianni Fabbris su VociPerlaTerra

La terra del nonno di Villi Simeonova si trova a 20 km da Dobrich, una città nel cuore della Dobrugia, una regione nel Nord della Bulgaria, al confine con la Romania, incastrata fra il Danubio e il Mar Nero.

Villi mi ha contattata via fb dopo aver ascoltato la trasmissione in diretta su Iafue PerlaTerra sulla difesa del suolo; una bella puntata che ha messo insieme diverse esperienze sulla difesa del territorio a partire da quanti si occupano della rigenerazione della materia organica e della qualità dei terreni sempre più devastati per una parte da un uso irresponsabile della chimica e di metodi colturali invasivi e per l’altra dall’aggressione del cemento.

Villi ha viaggiato ed ha studiato fuori dalla sua terra ma ora è lì, fortemente piantata nel luogo in cui sente le sue radici e che sente il dovere di difendere dai nuovi pirati del nostro tempo.

Il nonno di Villi coltivava il monococco (il triticum monococum conosciuto anche come piccolo farro), un cereale tanto antico da essere considerato il primo dei cereali addomesticati dall’uomo come testimoniano gli scavi archeologici nella vicina Turchia su siti di circa diecimila anni fa.

Villi mi mostra le foto di come nelle sue terre (anche qui da noi in verità) ancora si coltiva recuperando una antica storia per tecniche moderne e tecnologicamente ecocompatibili: “sono diversi gli agricoltori che ricorrono al NO-TILL Farming; questo è possibile proprio qui, grazie alla straordinaria caratteristica dei nostri terreni e del nostro suolo”.

Il No-Till farming (lavorazione senza aratura, nota anche come lavorazione zero o semina diretta) è una tecnica agricola per la coltivazione di colture o pascoli senza stravolgere il suolo durante la lavorazione. L’agricoltura senza aratura riduce la quantità di erosione che la lavorazione del suolo provoca nei terreni favorendo l’aumento della quantità di acqua che si infiltra, la ritenzione di materia organica nel suolo e il ciclo dei nutrienti. Insomma una pratica non invasiva che, solitamente, si adatta a terreni “difficili”, aridi ma che qui, mi racconta Villi, trova un contesto straordinario di fertilità.

Sarà per questo che due anni fa la Società Internazionale per la Sostanza Organica vi tenne il suo Congresso (dal titolo illuminante: “Humic Substances and Their Contribution to the Climate Change Mitigation”) che fotografò la situazione della fertilità dei suoli nel mondo, certificando come i territori della Dobrugia sono, insieme a quelli del Delta del Nilo e dell’Ucraina, fra i più fertili e ricchi del pianeta.

Villi mi descrive con entusiasmo questo intreccio straordinario fra la ricchezza ambientale (un lago intatto, il fiume, la terra fertilissima con uno strato di sostanza organica profonda) e ricchezza storica (qui la ricerca testimonia una delle necropoli più datate in cui è stato documentata la presenza di protograni antichi) ma mi racconta, anche dei grandi rischi che la comunità di quel territorio sta correndo.

Da 17 anni su questo angolo di patrimonio straordinario pende la spada di Damocle della speculazione. Sono diverse le società private che stanno cercando di mettere le mani sul territorio per sfruttare i grandi giacimenti di gas che si trovano nel sottosuolo.

8 anni fa fu bloccata la Chevron e fin qui le comunità hanno saputo resistere grazie ad un referendum popolare (97% di “No alla ricerca ed estrazione di gas”) ed alla posizione assunta dalle amministrazioni locali, dalle istituzioni, dagli esperti, e persino dal Ministro dell’Ecologia del Governo.

Ma i tentativi di ottenere un diritto di sfruttamento del territorio per 60 anni continuano incessanti e, ad oggi, incombono progetti che vorrebbero installare 41 sonde per fare “ricerche per l’estrazione del gas” proprio nel territorio in cui vi è anche il lago che è l’unica fonte dell’acqua per l’irrigazione e per l’uso potabile di centinaia di migliaia di abitanti.

Insomma i rischi sono grandi come grandi sono gli interessi che potrebbero dare un colpo mortale ad una delle risorse di fertilità più importanti del mondo e d’Europa.

Se la comunità di quel territorio sarà lasciata sola, questo colpo mortale potrebbe essere presto assestato e potrebbero avere ragione gli interessi potenti delle Lobbies con buona pace delle dichiarazioni europee sul Green Deal.

Ha ragione Villi a porsi l’obiettivo di far conoscere il più possibile questa realtà ed ha fatto bene a cercarci. E’ in Europa che va vinta la battaglia ed è qui che dobbiamo riunificare le tante esperienze che stanno resistendo aiutandole a rompere l’isolamento in cui sono tenute.

Questo sarà possibile se sapremo declinare insieme gli obiettivi e le proposte per cambiarla in nome dell’idea di una Europa in cui la Terra, le Comunità, i popoli declinino la propria relazione fondandola sui diritti e sul prospettiva della Sovranità Alimentare. Una Europa che guardi al Mediterraneo ed alle sue genti come grande risorsa e non come il luogo in cui scaricare le scorie del suo modello sociale e di sviluppo.

Il progetto cui sta lavorando l’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare di convocare il Foro Sociale Mediterraneo della Sovranità Alimentare è la strada giusta per proporre alle tante esperienze di resistenza al modello della crisi economica, ambientale, sociale e di democrazia di ritrovarsi per tornare a parlare la antica Koiné dei popoli del Mediterraneo e riscrivere insieme il futuro