La partecipazione locale, strumento di difesa democratica ed ecologica

Editoriale del 24.3.21 di Nicola Digennaro*

Le parole della settimana sono Comunità-Territorio-Terra, ma non sono solo parole, sono anche sentimenti, affetti, valori estetici e segmenti di esistenza.
Questo vale per il vicino e per il lontano, intendendo con questo il cambio di percezione che oramai si htramite i social network e i mezzi di comunicazione che ci avvicinano a problematiche lontane migliaia di chilometri ma che ci riguardano da vicino.
Basti pensare alle ondate di indignazione planetarie che si sono avute per gli incendi avvenuti, ad esempio, in Australia oppure in Brasile.
Così come ci avvicinano anche alle problematiche più vicine a noi, che sono presenti sul territorio italiano, basti pensare alla Terra dei Fuochi campana oppure alla vicenda PFAS in Veneto, che ha coinvolto e coinvolge circa 350.000 persone e che è praticamente uguale a quella avvenuta negli Usa, precisamente in West Virginia.
Si potrebbe dire, quindi, che le problematiche ambientali sono al tempo stesso locali e globali e che la PARTECIPAZIONE LOCALE RAPPRESENTA LA NECESSARIA BASE D’AZIONE RISPETTO AL PROBLEMA GLOBALE.
Quindi è di tutta evidenza che la difesa locale, se esercitata con cognizione di causa e supportata da argomentazioni valide, sia una componente di difesa mondiale e non semplicemente un capriccio da sindrome Not In My Back Yard, o comunemente chiamata sindrome NIMBY.
Difesa locale che come abbiamo visto nel Forum, di lunedì, trasmesso in diretta su questi canali, dal titolo “Basilicata e Dobrugia, due popoli del Mediterraneo che resistono all’aggressione delle multinazionali estrattrive” è anche resistenza all’aggressione del mero profitto pronto a tutto pur di risparmiare ed accumulare ricchezza.
Profitto pronto a trafficare illecitamente rifiuti, rifiuti spesso tossici o addirittura radioattivi, oppure a sotterrarli sotto campagne e/o strade e/o edifici. O ancora, a sversare acque inquinate da prodotti chimici in terreni o in fiumi, oppure a sventrare montagne, perforare in mare, per estrarre sempre più fonti fossili, o “semplicemente”, per così dire, a posizionare pale eoliche che deturpano il territorio nel suo valore
estetico ed affettivo, ecc.
Tutto questo è generato dalla c.d. ECONOMIA DELL’1% che oltre al polarizzare la ricchezza prodotta e a consolidarsi, impone un costrutto materiale e intellettuale che separa artificialmente gli uni dagli altri e tutta l’umanità dalla Terra, dando a quest’ultima un ruolo marginale al servizio dell’ ”uomo-capitalista” e dell’”uomo-consumatore”.
Tutto questo genera alienazione, spopolamento, povertà, perdita di identità, perdita del senso della democrazia, alla cui base vi è la sovranità popolare, questa da considerarsi prima struttura sociale, prima struttura politica, quindi struttura della comunità-città, poiché il termine “politica” deriva dal greco antico πολιτική, che vuol dire, appunto, «che attiene alla città».
Naturalmente, tutto questo precarizza il tessuto sociale e lo rende meno incisivo, anzi, appositamente meno incisivo.
Ma tutto questo è possibile cambiarlo, si può cambiare partendo, prima di tutto, da noi.
Da noi, con le proprie scelte quotidiane, a partire dal non essere semplici consumatori ma essere cittadini del proprio luogo, recuperando il diritto alla tutela del territorio e le sue diverse specie; il diritto alla biodiversità, anche culturale e del paesaggio; il diritto di fermare il furto delle materie prime, dei semi, dell’acqua, e così via, da parte delle Multinazionali e delle imprese nazionali, avendo fiducia nell’adire la Giustizia anche nell’assenza dello Stato.Generando buone pratiche di SINERGIA SOCIALE, di partecipazione attiva e reattiva di comunità dando luogo ad un più generale coordinamento nazionale così da tener insieme le varie difese locali che sono difese globali.
Concludo con le parole di Albert EINSTEIN “Il mondo che abbiamo creato è il prodotto del nostro pensiero e dunque non può cambiare se prima non modifichiamo il nostro modo di pensare”, ecco dovremmo cambiare prima il nostro pensiero, nel senso di credere che le cose negative possano essere cambiate, quindi continuare ed intraprendere con costanza e consapevolezza la difesa del proprio territorio, che come detto, in realtà, è base d’azione globale, fino ad arrivare anche a dover chiedere e cambiare l’assetto giuridico-economico che permea l’attuale sistema, troppo proiettato agli interessi dell’”uomo capitalista” e troppo poco su quelli della Natura e degli altri esseri viventi della Terra.


*Nicola Digennaro è avvocato esperto di diritti umani, componente del Coordinamento Nazionale dell’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare