tratto da Teatro Naturale (leggi articolo originale)
Quest’anno molti agricoltori biologici non hanno potuto seminare il grano duro varietà Cappelli. Un’azienda sementiera si è aggiudicata infatti la licenza in esclusiva per questa antica varietà di frumento, creando di fatto un regime di monopolio. Una situazione delicata e pericolosa per il libero utilizzo delle sementi, come sottolinea il Consorzio Marche Biologiche, che riunisce 300 imprenditori agricoli della filiera marchigiana biologica.
Proprio gli agricoltori Bio avevano riscoperto e recuperato agli inizi degli anni ‘90 questa varietà progressivamente abbandonata nel dopoguerra a favore di grani di taglia più bassa e più produttivi. “È soprattutto grazie ad essi – spiega il Presidente di ConMarcheBio Francesco Torriani in un articolo pubblicato sul periodico Mediterraneo – che si sono sviluppate in Italia tante filiere di frumento duro Cappelli da agricoltura biologica”.
Ora invece il Crea – ente di ricerca pubblico vigilato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, proprietaria del Cappelli – ha affidato i diritti in esclusiva per 15 anni sulla moltiplicazione e sulla commercializzazione di questa varietà alla SIS – Società Italiana Sementi spa. Con questo accordo, la fornitura del seme all’azienda agricola è condizionata alla sottoscrizione di un contratto con la ditta sementiera nel quale si prevede il conferimento dell’intera produzione agricola. Le royalties non sono applicate solo al seme destinato alla moltiplicazione, ma anche al seme destinato alla molitura. In sostanza, gli imprenditori agricoltori sono privati della possibilità di sviluppare e promuovere filiere fino al prodotto finito.
“Faccio un esempio concreto – spiega Torriani – L’agricoltore che ha acquistato le sementi per coltivare il Cappelli non è libero di utilizzare il grano da lui raccolto per produrre pasta. L’accordo di esclusiva prevede infatti che l’agricoltore debba vendere il grano Cappelli di propria produzione alla ditta sementiera ad un prezzo di 80 euro al quintale, per poi riacquistarlo ad un prezzo di 100 euro al quintale, quindi con una differenza di ben 20 euro al quintale (entità della royalties per il grano destinato alla trasformazione/molitura). Senza contare il fatto che la pasta così prodotta perde la sua natura agricola e diviene un prodotto commerciale”
“Questa situazione sta mettendo in ginocchio filiere già avviate da decine di anni. Ma non solo: in questo modo la filiera del grano duro Cappelli inizia e si chiude con l’industria (ditta sementiera), interrompendo la natura agricola della stessa e riducendo la figura dell’agricoltore ad un mero prestatore d’opera alle condizioni imposte dall’industria sementiera. Auspichiamo un chiaro cambiamento di atteggiamento da parte dei soggetti coinvolti nella produzione di seme Cappelli – conclude Torriani – in particolare ci attendiamo che per la prossima campagna (semine 2018) l’attivazione di una modalità trasparente per la prenotazione del seme di frumento duro Cappelli biologico in cui sia ben distinta la contrattualistica per il seme destinato alla rimonta/riproduzione rispetto alla contrattualistica del seme destinato alla trasformazione/molitura. Solo così sarà restituita agli agricoltori, singoli e associati, il giusto ruolo nello sviluppo e promozione delle filiere del grano duro Cappelli fino al prodotto finito”.