Editoriale a cura di Katya Madio*
In tutti questi mesi di intensa programmazione radiofonica e streaming Radio Iafue ha riunito intorno a se produttori, lavoratori, comunità e abbiamo capito una novità importante: l’agricoltura non è un mero comparto economico come può esserlo l’industria ma è qualcosa di più complesso e anche più affascinante perché comprende la sacralità del cibo, il rispetto delle persone e dell’ambiente, la socialità, la convivialità unita a ogni manifestazione culturale. Non è poco se consideriamo come sta andando il mondo.
Ci sono novità che bussano alla porta. E per chi non vuole rimanere schiacciato dalla sbobba quotidiana dei poteri forti economici e della politica è arrivato il momento di attivarsi.
La nuova alleanza con i consumatori organizzati e alleati dei contadini, sia che essi li chiamiamo tali sia che li definiamo fruitori poiché rifiutano un’idea consumistica del sistema agro-alimentare globale, sottolinea sempre più la necessità di creare una rete delle reti, scusate il bisticcio di parole, che ha il dovere di allargarsi sempre più e diventare sempre più forte. Non si tratta di un semplice “rimaniamo in contatto” ma di un protagonismo senza precedenti che al momento giusto può fare la differenza.
Il nostro appello pertanto va a loro, ai fruitori, poiché sono soggetti consapevoli che, come sottolinea Wendell Berry, “mangiare è un atto agricolo” e premiano chi coltiva rispettando la terra e l’ambiente, gli animali, le persone. Cerchiamo coloro che, consci che le loro scelte alimentari hanno un impatto sulla sostenibilità generale dei processi di produzione, si rifiutano di essere soggetti passivi che acquistano con indolenza e sbadataggine, se non ignoranza, ciò di cui nutrirsi.
Oggi i cosiddetti fruitori possono fare la differenza nella lotta al climate change, che poi in soldoni vuol dire la lotta contro chi pensa che il mondo possa andare avanti con l’uso massiccio della chimica e dei combustibili fossili.
Le comunità a cui ci appelliamo affinchè si facciano avanti sanno che ogni alimento è il risultato di una rete e che di quella rete possono farne parte attivamente; vedono l’atto finale, il mangiare, come il fine di un processo produttivo che è ciclico, perché inserito nei meccanismi di funzionamento di un sistema più grande, quello naturale. L’idea di consumo ci appare invece molto riduttiva, implica un’azione passiva nei confronti del sistema alimentare e nociva nei confronti del Pianeta perché di fatto lo ‘consuma’. Significa in questo caso adeguarsi alle lobby dei potenti, fare il loro gioco. La questione cibo infatti, non si sa perché, non riesce mai a mettere d’accordo i potenti che cercano mille stratagemmi per salvare economie malate ma sul cibo non concludono mai nulla decidendo così, consapevolmente, di abbassarsi al gioco delle multinazionali e dei Monsanto di turno.
Ipotizzare quindi una possibilità altra, quella del viaggio, e quindi dell’incontro può essere il primo elemento dirompente e di rottura in un mondo globalizzato, in cui il cibo è considerato merce. La possibilità che i fruitori incontrino i produttori permetterebbe ancor più di aprire la mente perché si deciderebbe di intraprendere un percorso formativo e di rigenerazione che permetterebbe di offrire l’occasione di imparare dall’esperienza, dal confronto, dal racconto fortificando meglio un’identità avviando scambi importanti senza inventarsi nient’altro di più di ciò che ognuna di queste comunità sta già facendo quotidianamente nel proprio territorio.
Abbiamo imparato, infatti, che i nostri agricoltori sanno come produrre bene e sano, sanno come maneggiare la terra, come farla fruttare senza depredarla. Praticano il riuso e il riciclo, si servono degli scarti per altri processi produttivi o per moltiplicare i piaceri del cibo. Compiono cioè atti di millenaria sapienza che si sono trasferiti di generazione in generazione.
Tutto quello che i soggetti esterni possono fare è dunque imparare, guardare al loro modello come un modo per cambiare, applicandolo alle proprie realtà, anche urbane, per vivere con un altro stile di vita, un altro modo di operare.
E’ una questione di modi di pensare e di metodo nell’affrontare i problemi. Queste comunità che andiamo cercando sono l’opposto dell’omologazione, del consumismo dunque, rappresentano un’altra umanità che esiste ancora e che il produttivismo e il consumismo non hanno ancora intaccato.
Sono comunità fortemente radicate nel territorio, non ci sono limiti alle tipologie di persone che ne fanno parte, perché quelle persone, a vario titolo di rappresentanza, sono comunque legate dall’idea di un cibo sostenibile, buono, che non perpetri iniquità sociale; sono l’espressione di un’identità che ha memora del passato e ha chiaro in mente ciò che vuole per il futuro.
Questo il nostro appello dunque a tutti i fruitori affinchè guardino al nostro modello di cibo etico e giusto attraverso il quale diventi evidente l’ impegno sociale e politico, che porti a un confronto sempre aperto e rappresenti un laboratorio di relazioni giuste tra fruitori, produttori che ha la necessità di una piattaforma comune dove l’elemento su cui gettare le basi è quella dell’alleanza.
Pensiamo che i tempi sono maturi per un’assunzione di responsabilità comune, una condivisione di valori che ci faccia sentire tutti contadini. Sposando la causa di una produzione buona, sostenibile e giusta per i produttori perché come sottolineato più volte si modifica il ruolo del consumatore, viene meno la differenza tra chi abita in città e chi vive in campagna; insomma, tutti così facendo potremo iniziare a sentirci un po’ contadini, anche se non lo siamo.
*Presidente dell’ASA (Associazione per la Sovranità Alimentare)
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