Pascoli di carta. Le mani sulla montagna

editoriale del 29.6.21 di Giannandrea Mencini*

Qualche anno fa, ho girato per le Dolomiti Bellunesi ad incontrare malgari, agricoltori, pastori, persone che continuano a vivere nelle Terre alte malgrado le grandi difficoltà e il forte spopolamento che coinvolge queste stupende aree.
Un affascinate viaggio tra le vallate della provincia di Belluno che mi hanno portato a scoprire storie e luoghi di alta quota, dove la partecipazione emotiva delle persone incontrate è straordinaria. Persone con storie diverse che hanno deciso di lasciare tutto e investire nell’agricoltura per passione e amore verso il proprio territorio, verso la natura, verso le amate montagne. Persone che vivono con semplicità, ricordando il passato, ma investendo nel futuro la loro esperienza lavorativa e di vita legata a un luogo, a un paese, a una tradizione, avendo in comune la faticosa passione per la terra e gli animali.
Le sensazioni raccolte le ho poi raccontate in un volume uscito nel 2019 dal titolo “Vivere in pendenza. Scelte di vita che cambiano la montagna bellunese” per Supernova edizioni. Dialogando proprio con un allevatore cadorino, ho per la prima volta conosciuto la questione delle speculazioni sui pascoli alti. Luigi, il suo nome, mi aveva fatto capire che esistono grandi aziende di pianura che vengono a prendersi le malghe e offrono affitti che nessun allevatore locale può permettersi, poi si prendono i contributi comunitari sui pascoli appoggiando i titoli e son migliaia di euro. Un problema serio quello che mi evidenziava: nelle aste pubbliche i pascoli venivano aggiudicati al miglior offerente con delle condizioni che attiravano allevatori soprattutto di pianura che facevano figurare sulla carta la monticazione per poter accedere ai premi della Politica agricola comune dell’Unione Europea (Pac). In realtà, in alpeggio non ci andavano o ci portavano pochi animali “figuranti” rispetto a quello per il quale riuscivano a percepire i premi comunitari. Così gli allevatori locali, più legati al territorio montano e che sul serio “vivono in pendenza” con tutte le conseguenti difficoltà logistiche e sociali, non partecipano per le condizioni economiche troppo onerose e chi si aggiudica gli appalti non porta gli animali in montagna col conseguente deterioramento anche ambientale della qualità dei pascoli.
In merito, anche la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA) era intervenuta denunciando gli scandali e le speculazioni che rischiano di distruggere la cultura dell’alpeggio.
Da qui è partito, nel 2020, un mio nuovo viaggio fra le Terre alte. Un lungo reportage diventato una indagine sulle tante contraddizioni e problematicità che coinvolgono gran parte del settore montano, da nord a sud, da est a ovest.

Ho quindi indagato il fenomeno che a seconda dei luoghi dove accade e prolifera, viene chiamato “montagne d’oro”, “pascoli d’oro” o “mafia dei pascoli”. Speculazioni che coinvolgono le Prealpi, le Alpi, gli Appennini e dove, per colpa di pochi, la maggioranza degli agricoltori e allevatori onesti è messa duramente in difficoltà.

Un viaggio non facile a causa della pandemia ma tuttavia in presenza o da remoto, sfruttando le tecnologie digitali, ho potuto incontrare diverse persone che credono nella giustizia e che sentono il bisogno di denunciare situazioni distorte e far capire che certe speculazioni, benché spesso giuridicamente nel limite della legalità, fanno male alla montagna.
Si parlava di alcune grandi aziende di pianura che si accaparravano i pascoli in quanto avendo troppi suini o vacche da latte riguardo alle superfici coltivate e generando troppo liquame rispetto ai terreni di cui disponevano, con il rischio di sforare i parametri ambientali del PUA (Piano di Utilizzazione Agronomica), con l’affitto dei pascoli trovano una via di uscita al problema “spalmando sui pascoli di carta” la produzione di reflui zootecnici. La burocrazia non si preoccupava di controllare se si trattava di superfici reali e pascolate, contavano i contratti d’affitto e le carte bollate in regola in modo tale che, dal punto di vista amministrativo, il carico inquinante fosse ridotto grazie al numero maggiore di superfici a disposizione dell’azienda. Oppure di agenzie di servizi sorte dal nulla che si occupavano di mettere in contatto l’offerta di alpeggi pubblici con le domande, spesso solo di “carta”, di alcune grandi aziende zootecniche, e che investivano grandi cifre per procacciare più pascoli pubblici possibili andati all’asta. Ettari di terreno che permettevano di presentare diverse domande e beneficiare quindi dei contributi europei.
Il mio ultimo libro, “Pascoli di carta. Le mani sulla montagna”, appena uscito per la Kellermann Edizioni, indaga con attenzione questi casi e, come scrive Don Luigi Ciotti nella prefazione:
“Ciò che emerge chiaramente dall’analisi puntuale e approfondita di Mencini è un sistema consolidato e capillare di frodi legate al mondo dei pascoli montani, che interessa l’intero territorio nazionale. Dove non c’è il coinvolgimento della criminalità mafiosa in senso stretto, si ravvisa comunque una diffusa mafiosità dei comportamenti, ossia la tendenza a mettere il profitto davanti a qualsiasi legge, di natura formale o morale, senza riguardo per chi prova a lavorare in modo trasparente, né verso l’integrità del territorio, che pure in questo ambito dovrebbe costituire un valore essenziale.”

*Giannandrea Mencini