IL MONITO DI MADRE TERRA: “NESSUNO SI SALVA DA SOLO”

editoriale del 24.6.21 di Vittorio Gervasi

Sono pretenzioso, lo so e lo dichiaro subito. Non amo    nascondermi. E soprattutto voglio parlare chiaro. Ho la certezza, che mi viene dallo studio della storia, che ogni vera rivoluzione parte da un progetto culturale che ne è l’anima. Nel mio peregrinare per i campi, ho incontrato tanti amanti della terra, ho ascoltato tante storie, ho visto tanti sognatori, in altri termini ho incrociato spesso tanti bellissimi progetti personali. Ma di un progetto, prima    culturale e poi economico di ampio respiro, nella stragrande maggioranza dei casi,    non ho    trovato mai traccia. L’agricoltura è ricca di tradizioni, è storia millenaria legata alla vita umana, ma pochi l’hanno usata per farne un trampolino di lancio per un progetto di società. Purtroppo è mancata a tanti l’ambizione di lasciare una traccia lodevole del proprio passaggio. Hanno preferito lasciare altro. Hanno lasciato un’impronta – spesso indelebile -    di come è stato concepito lo sviluppo agricolo, sociale ed economico di un territorio: o nessuna concezione o una concezione predatoria !
Concepire è un atto propriamente materno e paterno. Implica una relazione e una voglia di dare frutti, di seminare e raccogliere guardando oltre la propria generazione, oltre il proprio tempo.
In estrema sintesi, potremmo dire, guardare oltre se stessi. Ma allungare lo sguardo, guardare verso la linea dell’orizzonte, non è mai stata un’abitudine consolidata della nostra generazione.
Sgombriamo il campo da fraintendimenti. Con queste parole non punto il dito contro nessuno. Potrei farlo con estrema facilità, ma non mi interessa affatto. La critica alle singole persone o ai sovra poteri consolidati,    non è il mio sport preferito, anzi !
Voglio però esprimere un chiaro giudizio di condanna verso quella mentalità che ha reso l’agricoltura la cenerentola della politica, la cenerentola della società, come se fosse la periferia di una grande città .
Ma noi agricoltori, periferia non siamo, sia per i numeri che esprimiamo e    sia per la cultura che ci tramandiamo.
Ed è per questo che vorrei accendere la scintilla di una rivoluzione. Una rivoluzione culturale che accenda il cuore di chi oggi ci ascolta e abbia voglia di lasciarsi trasportare da un granello di sogno, saldamente ancorato a principi intramontabili, che può far saltare il duro ingranaggio che negli anni ha fatto fuggire dal nostro settore miglialia di giovani ed a tanti altri non ha permesso nemmeno di avvicinarsi.
Se un pezzo della nostra società soffre,    la nostra comunità non è sana o meglio, non è una comunità !
L’agricoltura soffre, soffre e lancia un lungo grido di dolore.
Io soffro nel vedere produzioni svalutate da un mercato che guarda solo al prezzo e ammazza gli agricoltori.
Io soffro nel non veder disconosciuto il grande valore sociale che ha il contadino: custode di un sapere sapienziale perchè appreso dal diretto contatto con madre natura.
Io soffro nel vedere terreni abbandonati.
Io soffro quando nei campi non trovo biodiversità.
Io soffro quando cammino su un terreno sterile perchè iper sfruttato da coltivazioni superintensive.
Io soffro perchè gli agricoltori hanno perso la gioia propria di chi si dedica con passione al lavoro che ama.
Eppure la sofferenza è sempre preludio di un nuovo giorno: un tramonto annuncia sempre una nuova alba.
Sono convinto che noi uomini abbiamo un destino comune, o meglio, possiamo avere un destino in comune, perchè comune è la terra che calpestiamo, perchè comune è la terra che ci nutre, perchè comune è l’aria che respiriamo, perchè comune è il vento che ci ristora, perchè comune è la pioggia che ci bagna e bagna i nostri terreni.
L’agricoltura è un bene comune, cioè di tutti e di ciascuno.
Ciascun uomo è portatore di bisogni, ma allo stesso tempo è portatore di grandi talenti, di grandi capacità, di grandi slanci che possono seppellire in un attimo tante nefandezze che spesso lo rendono “protagonista” in negativo:    l’eroe di una storia senza senso perchè priva di una destinazione comune.
Mi colpisce tanto, quando cammino su terreni diserbati in maniera pesante -    dove non cresce più un filo d’erba – vedere che negli anni, se non più maltrattati, la vita lentamente riparte. Questo significa che c’è speranza, che comunque il terreno protegge al suo interno semi pronti per nuovi germogli, che nonostante tutto la vita può tornare a fiorire.

*Vittorio Gervasi è agricoltore e dottore commercialista