Agricoltura e prevenzione del dissesto idrogeologico: un connubio possibile.

editoriale del 25.06.21 a cura di Katya Madio*

Negli ultimi 30 anni risultano essere rimasti incolti circa 3,5 milioni di ettari di terreni, sottoposti a costante pericolo a causa degli eventi disastrosi di cui spesso sono oggetto. 

Una superficie, questa, grande come la Sicilia e la Valle d’Aosta messi insieme. 

Uno spreco se si pensa che questi terreni, grazie alla sapiente presenza di contadini e alle loro azioni di manutenzione e tutela del territorio, comporterebbero una sensibile riduzione dell’esposizione dei versanti al rischio di frana e dei fondovalle al rischio di alluvioni, rappresentando un antidoto efficace ed efficiente alla piaga più triste e imperante del nostro tempo: il dissesto idrogeologico, fenomeno che, ogni anno, provoca disastri in ogni dove.

Le imprese agricole, nella gestione e nella salvaguardia della terra, rivendicano, infatti, la loro responsabilità perché più del 65% della superficie italiana è affidata alla loro gestione: una superficie agricola pari a 12,8 milioni di ettari (42% della superficie nazionale) e una superficie forestale di quasi 11 milioni di ettari (il 36% della superficie nazionale di cui il 65% gestito da imprese forestali). Quest’ultima peraltro in costante crescita: 514.480 ettari, +4,9% negli ultimi 10 anni.

Nonostante questi dati è possibile tuttavia considerare che, in pochi decenni, in Italia purtroppo, si sono dimezzati gli agricoltori soprattutto nelle aree marginali. Più di un milione sono stati costretti ad abbandonarle negli anni ‘80. Lo hanno fatto perché non avevano più opportunità economiche, o abbagliati dal miracolo economico che le grandi città metropolitane erano in grado di offrire. Oggi la crisi sembra portare a un’inversione di tendenza così come questa pandemia. Si moltiplica il racconto delle storie di giovani che tornano a fare gli agricoltori così come la necessità e la ricerca da parte di sempre più pezzi della popolazione di vivere in maggiori spazi all’aria aperta, lontani dal traffico cittadino e dal suo inquinamento sia acustico e ambientale. Un’azione che diventa positiva quindi verso la prevenzione del rischio idrogeologico. Qualunque forma di coltivazione, infatti, che imponga un corretto regime delle acque, una cura del suolo che si traduce nelle tanto auspicate azioni di manutenzione dello stesso, contribuisce a una sensibile riduzione dell’esposizione dei versanti al rischio di frana e dei fondovalle al rischio di alluvioni.

In Italia sono 6.633 i comuni in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Una fragilità che risulta particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e nella Provincia di Trento, dove il 100% dei comuni è classificato a rischio, seguite da Marche e Liguria (col 99% dei comuni a rischio) e da Lazio e Toscana (col 98%). Ma la dimensione del problema è ovunque preoccupante. Come possiamo immaginare tra i fattori moltiplicatore di disastri c’è l’incuria per cui diventa importante correre ai ripari incentivando l’occupazione delle terre; auspicabile sia per un aspetto idrogeologico che economico. 

L’Italia, ha il primato di essere il paese a maggior rischio di dissesto idrogeologico. Ha una densità media di 189 abitanti per chilometro quadrato, contro i 114 della Francia e gli 89 della Spagna. Parlando di agricoltura, si pensi che ammontano a circa 4 milioni di ettari i terreni agricoli e forestali in erosione e a rischio frane, pari a ben il 13% dell’intera superficie nazionale. In 10 anni la perdita di suolo agricolo e di produttività delle superfici forestali ha comportato danni stimati in circa 2,5 miliardi di euro, mentre altri 10 miliari sono stati spesi per fronteggiare i danni da frane e alluvioni a colture e aziende.

Anche la Politica Agricola Comunitaria è intervenuta a tal proposito nella tutela dei suoli sia con azioni del I° Pilastro (eco-condizioalità e greening) sia con interventi del II° Pilastro (PSR) destinati agli agricoltori impegnati volontariamente per la gestione dei suoli (Misura 10.1.04) e per investimenti dedicati a contrastare il dissesto idro-geologico (Misura 5.1.01).

L’agricoltura infatti, lì dove persiste e resiste ha da sempre avuto un ruolo chiave nei processi territoriali perseguendo la sostenibilità utilizzando le innovazioni tecnologiche (agricoltura di precisione, efficientamento dei processi produttivi, economia circolare), le buone pratiche, la riduzione nell’utilizzo di fitofarmaci e di fertilizzanti di origine chimica (rispettivamente -21% e -52%, sul 2008, fonte Istat), di risorse naturali preziose come l’acqua. Gli agricoltori continuano cioè ad essere ‘sentinelle’ del territorio, e lo salvaguardano in qualità e quantità attraverso le produzioni del cibo così come attraverso le emissioni in atmosfera. Difatti, secondo il rapporto ISPRA, dal 1990 al 2019 l’agricoltura ha ridotto le emissioni di ammoniaca di circa il 25%, quelle di gas serra (che costituiscono il 7% delle emissioni nazionali) del 17%, mentre quelle di PM10 del 30%.

L’agricoltura e la silvicoltura, se opportunamente prodotte, svolgono un ruolo cruciale nella produzione di beni di pubblica utilità, come il paesaggio, la biodiversità, la stabilità del clima e la capacità di mitigare disastri naturali quali inondazioni, siccità e incendi. D’altra parte, non tutto è  rosa e fiori. E’ veritiero infatti non perdere di vista tutte quelle pratiche non  virtuose ma che contribuiscono a determinare pressione sull’ambiente e provocare degrado dei terreni, disssesto, inquinamento delle acque e perdita di habitat naturali e di biodiversità (Comun. Commiss. Eur. “La Pac verso il 2020”, 672/5-2010). 

Le cause del dissesto idrogeologico sono molteplici: una pianificazione territoriale, spesso disastrosa, che ha consumato pesantemente i suoli, solitamente più fertili, delle piane alluvionali e, come più volte evidenziato, un costante abbandono di aree agricole marginali, con la relativa scomparsa di antiche sistemazioni idraulico agrarie ma, soprattutto, di quella attività di “profilassi”, di difesa attiva, che consisteva nella cura di un reticolo idrografico minore, dalla gestione dei fossi alla riparazione di un argine, ma fondamentale per evitare frane ed esondazioni. 

Oggi sarebbe “maturo” riconoscere agli agricoltori la valenza multifunzionale della loro permanenza sul territorio, come presidio funzionale ed economicamente sostenibile ma anche di riconoscere agli agricoltori un ruolo di preminenza e di priorità nella collaborazione con i soggetti pubblici per la corretta gestione delle risorse idriche, della manutenzione del reticolo idrografico e delle pendici collinari. A tal proposito posso portare un precedente; durante l’alluvione del 2011 e poi del 2013 nei territori di Basilicata e Puglia gli agricoltori hanno avuto un ruolo importante nella governance del territorio; hanno definito progettualità, investimenti e finanche manifestato interesse a essere soggetti attivi nella redazione della carta del rischio finalizzato a fornire ai responsabili di territorio strumenti di supporto e gestione.

La strada giusta è, infatti, in un “sistema” che incentivi gli agricoltori a utilizzare pratiche agronomiche che riducano il rischio idrogeologico (lavorazioni di traverso in zone collinari) e sviluppino buone pratiche agronomiche durante il riposo per favorire l’assorbimento di corpi idrici in stagioni piovose, con conseguente allungamento dei tempi di corrivazione e recupero delle sistemazioni idraulico agrarie (dai terrazzamenti, ai ciglionamenti con riduzione delle portate solide e minore erosione). 

Si tratta, quindi, di proporre una nuova alleanza fra agricoltori, i cittadini e gli altri settori economici. Un’alleanza che veda gli agricoltori non più come una parte residuale, ma come protagonisti non solo della produzione di alimenti sani a salubri ma anche coadiutori del mantenimento di beni pubblici come il paesaggio e la riduzione del rischio di alluvioni. E’ stato calcolato che, in Italia ad esempio, per ogni milione di euro speso in prevenzione del rischio idrogeologico, si andrebbero a risparmiare 5 milioni di euro in termini di riparazione dei danni causati dal dissesto idrogeologico.


*Associazione per la Sovranità Alimentare.