Una domanda dal Mugello. Se il beneficio è per tutti, perché il danno deve essere della comunità locale?

Pubblichiamo una riflessione proposta in rete sulle pagine Facebook del gruppo “No Eolico nel Mugello” di Duccio Berzi, segnalandolo per l’approccio e nella prospettiva di contribuire al dibattito sulle agroenergie e il rapporto fra le comunità rurali, il territorio, lo sviluppo e il modello sociale.

Affronto la questione eolico da un altro punto di vista. Tutti noi immagino che condividiamo la necessità di combattere i cambiamenti climatici e da questo punto di vista l’eolico è oggettivamente un buon sistema di produzione di energia, sempre che ci siano adeguate condizioni di ventosità, in termine di quantità e qualità delle correnti, che le opere da realizzare non siano troppo importanti e che quindi il bilancio energetico “totale” dell’operazione sia positivo. La realizzazione di impianti di produzione energetica da rinnovabili deve essere accompagnata da un processo di riduzione dei consumi, altrimenti tutto diventa velocemente inutile, di minimizzazione degli impatti, di scelta delle migliori tecnologie, etc. e su questo mi sembra ci sia ancora tanto da fare anche in termini di pianificazione e normativa. Condiviso questo, appare evidente che tutti dovremo fare dei sacrifici ed accettare un qualcosa che non ci piace, che siano pale eoliche o impianti estesi di fotovoltaico, o altro ancora. Per tutti cosa intendiamo? Se la scala di riferimento è regionale, cioè se la Regione Toscana deve raggiungere determinati obiettivi in termini di impegni per il rispetto degli accordi nazionali ed internazionali, il rischio è che si determini una situazione in cui alcuni territori più deboli vengano sacrificati per dare quel contributo in rinnovabili, a scapito di altri (leggi zone di pregio paesaggistico ed ambiti urbani) in cui la realizzazione di impianti diventa improponibile. Da questo punto di vista il Mugello diventa a scala locale inevitabilmente un’area di reperimento, non avendo quelle peculiarità naturalistiche dell’Appennino più a sud (Parco Nazionale), profili più dolci dell’Appennino più a nord (Pistoiese), e non avendo un proprio brand turistico e i vincoli paesaggistici di altre aree rurali come il Chianti o le colline fiorentine. E’ sempre andata così: il Mugello ha fornito a Firenze prima il cibo, poi la Pietra serena, poi l’’acqua (oltre a Bilancino ricordo che il nostro appennino cede 1 milione di bottiglie di acqua Panna al giorno, trasportate nel mondo su gomma) poi sorgenti e fiumi sacrificati per l’Alta Velocità, ora è venuto il momento di dare energia “pulita” per rispettare gli impegni che abbiamo sottoscritto, sacrificando dei beni collettivi tutelati, cioè il paesaggio, la biodiversità, la wilderness, che rappresentano un valore aggiunto per chi vive nel Mugello. Ricordiamoci che questo sarà solo l’inizio dello sfruttamento del crinale mugellano, l’obiettivo è quello di riempire di pale tutto il tratto di crinale tra il Muraglione e la Colla. Quello che succede in Mugello è replicato a livello italiano, con il saccheggio della risorsa eolica e quindi del paesaggio da molte aree interne per una necessità collettiva, vedi l’Irpinia, senza un adeguato ritorno in termini di benefici per le comunità locali, che quindi perdono uno dei beni più importanti per questi territori, uno di quelli per cui vale ancora la pena vivere in queste zone e subire dei disagi. Le aree interne d’Italia demograficamente sono messe male. I servizi sono sempre peggio, in termini di trasporti, strutture sanitarie, strade, scuole e per questo si prevede che entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà in grandi città. C’è uno squilibrio sempre più forte in termini di opportunità, basta vedere i sacrifici che devono fare i ragazzi dei paesi appenninici del Mugello per andare a scuola. Ricordiamoci che mentre si punta alle rinnovabili, il treno per Firenze è ancora a gasolio. Avendolo studiato e conoscendo il territorio, spero che questo progetto di eolico in Mugello non si realizzi mai, ma purtroppo temo che se non è a questo giro sarà domani, il consenso per questi interventi matura nelle città dove dei nostri crinali non importa niente. E allora forse è venuto il momento di riflettere, a livello nazionale, sulla necessità di monetizzare diversamente il bene perduto (o meglio, ceduto), non tanto in dubbie royalties per le amministrazioni da parte delle società dell’energia, ma di investimenti pubblici in termini di servizi per limitare il gap con le aree metropolitane. Se il beneficio è per tutti, se gli impegni sono di tutti, perché il danno deve essere della comunità locale? E’ una questione di democrazia sociale. Ad oggi il crinale viene comprato per una manciata di perline. Se il valore attribuito fosse ben più alto ed attribuito all’intera collettività di riferimento forse questi progetti subirebbero valutazioni diverse.