Con il capitalismo che la fa da padrone, la transizione ecologica è demagogia.

L’inganno della Transizione Ecologica – Parte Prima

editoriale di Dante Schiavon*

La transizione ecologica è un inganno, l’ennesimo. Al punto della storia geologica del nostro pianeta  e del nostro paese non ha senso parlare di “transizione ecologica”. Dopo il recente abuso del termine “sostenibilità”, usato in modalità “marketing commercial-elettorale”, ora è il turno del termine “transizione ecologica” che permette di dire tutto e il contrario di tutto, di fare e di non fare, di subordinare al profitto la riconversione ecologica possibile, di   procrastinare scelte non più rinviabili. Dalla “sostenibilità”, sbandierata demagogicamente e “premessa astratta pubblicitario-propagandistica” a leggi ossimoro sull’ambiente, ora tocca al mantra pasticciato e fuorviante della “transizione ecologica”: le ultime affilatissime armi del capitalismo globale per continuare a inquinare e fare profitti. Ma la storia geologica del pianeta non consente più furbate. Dalla metà del XX secolo, secondo Paul Creutzen, è diventata via via sempre più visibile l’impronta ecologica e geologica dell’uomo: ci sono le tracce, le prove scientifiche di come l’uomo stia modellando e modificando tra il 50% e il 75% della superficie terrestre, estraendo materie prime, metalli preziosi, combustibili fossili, sedimenti, modificando la composizione chimica dell’acqua, il corso dei fiumi, cementificando pianure, coste, montagne, provocando l’estinzione di molte specie e limitando la biodiversità. Dall’epoca geologica dell’Olocene, iniziata 11500 anni fa, siamo passati all’epoca geologia odierna, chiamata Antropocene e tale classificazione, proposta da Paul Creutzen, è ormai accettata dall’Unione Internazionale delle scienze geologiche. Contemporaneamente, sempre secondo Paul Creutzen, negli ultimi 100 anni abbiamo aumentato del 30% il livello di concentrazione di anidride carbonica, un livello mai raggiunto in 400.000 anni. Stiamo consumando in meno di un secolo il carbonio rimasto sepolto sotto la crosta terrestre, trasformatosi in petrolio o carbone e fissato dalle piante attraverso la fotosintesi intorno a  450 milioni di anni fa. L’uomo, quando usa come combustibile quel carbonio catturato dalle piante milioni di anni fa,  rilascia enormi quantità di nuova CO2  che l’attuale ciclo del carbonio e il taglio di centinaia di miliardi alberi in tutto il  pianeta non sono in grado di assorbire come avvenuto 450 milioni di anni fa. L’assorbimento del carbonio non è possibile perché consumiamo risorse naturali ad un ritmo vertiginoso, tant’è che dal 1970 arriva in estate e non al 31 dicembre il giorno del “debito ecologico” (earth oversoot day), ossia, come spiega Stefano Mancuso, “il giorno dell’anno in cui l’umanità, avendo consumato l’intera produzione di risorse che gli ecosistemi terrestri sono stati in grado di rigenerare per quello stesso anno, inizia a consumare risorse che non saranno più rinnovabili. È come se, passato questo giorno dell’anno, l’umanità vivesse erodendo le risorse del pianeta”. L’assorbimento del carbonio non è  possibile perché la combustione di combustibili fossili e la deforestazione non consentono di replicare l’assorbimento del carbonio avvenuto in 450 milioni di anni. Se la transizione fosse iniziata negli anni 80 allo scopo di accompagnare quel processo di cambiamento graduale, che a parole ora si vuole timidamente e confusamente delineare, avrebbe avuto un senso parlare di “transizione ecologica”, intesa nella sua accezione di dilazione e gradualità, ma c’è un problema: incombe la scadenza del 2030. I governi, gli Stati, le banche, stanno gestendo la “transizione ecologica” facendo un passo in avanti (piccolo, a parole, quasi insignificante negli impatti sul clima) e 10 passi indietro. È questa la transizione? Transizione verso cosa?  Il “contrasto” ai cambiamenti climatici non è solo città Smart e auto elettriche (finché l’elettricità di quelle auto che attualmente vediamo negli spot pubblicitari è prodotta da fonti fossili), è “suolo”, “alberi”, “agricoltura”, “stili di vita”, “modi di produrre”. Se tutta la popolazione terrestre arrivasse a consumare le risorse del pianeta  ai ritmi con cui le consumano gli Stati Uniti altro che Accordo per il clima di Parigi del 2015.

Sono passati 5 anni e le emissioni, escluso il picco della diminuzione dovuto ai vari lockdown nella recente pandemia, sono aumentate.

Al punto cui siamo arrivati il “compromesso” è la negazione della “transizione ecologica”. Ecco perché non accetto che nel 2021 si parli di “transizione ecologica” al posto di “riconversione ecologica”. 

*Dante Schiavon vive in Veneto ed è portavoce per l’agricoltura dell’Associazione Ecologista “Gruppo Intervento Giuridico”