La qualità, in attesa della rivoluzione.

editoriale del 18.5.21 di Giovanni Samela*

Interessante l’analisi proposta dall’editoriale dell’amico Roberto Rubino ieri su VociperlaTerra e commentato in diretta su Iafue; parto dalla fine del suo bel contributo, così lo faccio arrabbiare subito. Egli dice: “legare il prezzo al livello qualitativo della materia prima”. Domanda: quale qualità? Quella dei pastai che vogliono la colla (glutine) per velocizzare i processi o quella degli oncologi che considerano negativi per la salute certi processi e certi eccessi?

Ovviamente ho utilizzato un paradosso per dire che “la qualità” non è facilmente codificabile e, al riguardo mi piace ricordare un aneddoto. Un mio professore di marketing, sorprendendo tutti noi che eravamo in aula, affermò che per 3 miliardi di persone al mondo, la famosa Coca Cola era considerata un prodotto di qualità. Ciò accade perché, per tante persone, il concetto di qualità è legato a componenti non per forza condivisibili da altre persone e, nel caso della Coca Cola, la pubblicità e lo status symbol che ne rappresentava, erano considerati elementi soggettivi della qualità.

Un prodotto di qualità è tale quando una persona o un gruppo di persone gli attribuisce tale definizione. Altro è il prerequisito igienico sanitario. Di quello non si dovrebbe nemmeno discutere; in questo caso, la battaglia dovrebbe essere quella di alzare i limiti troppo spesso ispirati dalle multinazionali. Prendiamo ad esempio la questione del DON nel grano e nella pasta, limiti raddoppiati (in negativo) in una nottata.

Posto che ci mettiamo d’accordo sulla qualità di una materia prima o di un prodotto finito resta da stabilire chi la produce e con quali mezzi. I piccoli agricoltori? A rischio di essere controcorrente non ci credo! Una bella utopia irrealizzabile senza una “rivoluzione”.

La storia degli ultimi 70 anni non lascia dubbi o equivoci di sorta. “L’esperimento italiano”, che per semplicità chiamo di Togliatti e De Gasperi, ha portato a questa situazione odierna. Non sto dando colpe, cerco di analizzate lo stato attuale delle cose. I piccoli sono stati organizzati in cooperative (centrali del latte, ammassi del grano, cantine, ecc.) quasi tutte fallite e, in quei pochi casi che non sono fallite propongono prodotti che, dai cittadini (se preferite consumatori) sono sempre considerati di scarsa qualità.

Io continuo a rimanere, in assenza di una “rivoluzione”, un continuo sostenitore delle produzioni di territorio, tracciate e garantite da enti terzi. In parole povere credo che al momento non ci sono esperimenti meglio riusciti delle denominazioni di origine (Dop, Igp, ecc.). Non nascondo le difficoltà e le truffe che si nascondono dietro tanti pseudo prodotti riconosciuti, tuttavia cose diverse e soprattutto migliori io non ne vedo.

Provate ad immaginare la Mozzarella di Bufala Campana o il Parmigiano Reggiano senza le Dop. Non credo che il prezzo del latte sarebbe lo stesso che spuntano oggi. Il latte di bufala sarebbe pagato a grasso e proteine, cioè al doppio del prezzo del latte vaccino. Invece spunta prezzi 4 volte superiore al prezzo del latte vaccino.

La qualità, se esiste una definizione univoca o almeno filosofica del termine, dovrebbe essere patrimonio di tutti i cittadini. Al momento un certo tipo di qualità è ad appannaggio di pochi eletti, di quelli che hanno il portafoglio pieno o semplicemente strumenti intellettivi per scelte più oculate. Dare un prodotto migliore a tutti i cittadini non è roba che può essere garantita dalle piccole imprese oramai chiuse. Dobbiamo chiedere alle imprese che ci sono di fare una passo in avanti per rispettare l’ambiente e la salute degli animali e degli esseri umani….

…in attesa della rivoluzione…


*Giovanni Samela è progettista e promotore dello sviluppo territoriale e di impresa