Quella “600” colore blu mare di Capri.

editoriale del 30 marzo 2021 di Giacinto De Rosario*

Che fossimo sotto un periodo di festa, si manifestava con la forma tonda della “cuzzupa” dolce Calabrese pasquale, al posto del solito pane nella “suppa”. Era di domenica, certamente, tardi per l’ora solita della sveglia. L’aria frizzava complice tra mio fratello Gianni ed io, per quello che sapevamo essere una sicura avventura. In auto, una Fiat “600” colore blu mare di Capri, comprata firmando un paio di kili di cambiali, non riuscivamo a stare fermi. La striscia stradale era nei miei ricordi di un colore azzurrino, tagliava come lama la campagna verde.

Si andava in un paese vicino (tutto era vicino) ospiti a pranzo di qualcuno a cui mio padre, gratuitamente, nel suo lavoro aveva aiutato. Il disobbligo era necessario, eluderlo era un affronto. Al casolare ad attenderci, il contadino, e tutta la sua numerosa famiglia.

Bambini di tutte le età, ci osservavano dubbiosi, come si guarda uno straniero… Ma i cuccioli d’uomo, come i vecchi, hanno memoria breve, e allora veloci a giocare; correre dietro le galline. Cercare di cavalcare il cane pastore…

Si arrivava sfiancati, alla tavola, lunga, acconciata con grandi bianchissimi teli. Tutti sembravano sordi, le voci altissime, l’urto dei bicchieri spaiati, un cibo nuovo nel piatto..

No! Non era fastidioso, era invece la gioia della gente, il tangibile e manifesto convivere, Cum vivere, stare insieme…

Comunità: insieme di persone unite fra di loro, da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni. Cosi spiega Wikipedia il significato della parola comunità.

Sapevamo noi questo, no, lo vivevamo semplicemente. Ma nessuna società è davvero semplice, si forma e si afferma fra lotte di interessi comuni e necessari, equilibri dinamici, che stabiliscono limiti, leggi condivise.

Sono la forza per sopravvivere alle avversità, spegnere estremizzazioni nefaste, proteggere l’individuo e tutti. E cosi siamo arrivati all’oggi. Una pervicace, insistita azione di orientamento, a pensare, a convincerci

Che possiamo, vogliamo vivere anche da soli. In quella solitudine esistenziale, cosi voluta da quel pensiero Liberista, consumista, che tutti ci sottende.

No, non per caso siamo arrivati a questo. Le società, nelle espressioni delle sue forme, si possono condizionare, per i propri utili i propri fini.

Tornare alle forme di comunità, quella che è stata la mia, quella che vorrei fosse anche per i miei, e possibile. Provare a invertire la solitudine ipnotica indotta dall’interesse del capitale, e cosa faticosa e lunga. Ma le certezze di essere nel giusto, sono come quelle piante che crescono sui muri, a dispetto di tutto e tutti. Noi siamo Uomini e Donne, siamo in cammino perenne, con gambe sempre nuove, “capetoste”, nel credere che il bello ed il giusto, siano nostri vicini, e che tutti, senza distinzioni di censo, di colore della pelle, di religione, di tendenze sessuali, possiamo e dobbiamo “cum vivere”.


*Giacinto De Rosario è il cuoco alimurgico e coordinatore della Rete dei cuochi per la Sovranità Alimentare