De Cecco riclassifica grano francese spacciandolo per italiano? La procura di Chieti indaga.

L’ennesimo schiaffo ai diritti dei consumatori.

4.757 tonnellate. Sarebbe questo il peso del carico di grano segnalato dai Carabinieri del NAS di Latina, caricato in un porto che si trova nella provincia a Nantes, sull’Atlantico, e una volta giunto in Italia (prima ancora che arrivasse nello stabilimento del pastificio), riclassificato come “grano pugliese”. La segnalazione ha causato l’immediata attivazione della procura di Chieti, che ha aperto immediatamente un’indagine, rivelando uno scambio di email, nel quale si ordinava esplicitamente, a nome del presidente della De Cecco, la contraffazione dell’origine del carico di grano.

“Buonasera. Il Presidente comunica che il grano Francese in arrivo a Ortona il 13.02.20 dovrà essere considerato come grano Pugliese”.

Questa la mail che testimonierebbe il tentativo di corrompere i dati del carico francese, facendo emergere numerosi – e legittimi – dubbi sulla trasparenza della De Cecco sull’origine delle materie prime. Trasparenza che, come Dario Dongo, avvocato e giornalista coordinatore del sito Great Italian Food Trade, una tra le prime piattaforme online di informazione a segnalare la frode, ha dichiarato ai microfoni di Radio Iafue: «presuppone un accordo di filiera con la parte agricola».

Questa indagine interviene in una fase cruciale per l’azienda, perché proprio in quegli stessi mesi la De Cecco, insieme ad altri gruppi pastai (Cocco, Auchan e Divella) e a un gruppo della distribuzione Lidl Italia, era stata soggetta di un’istruttoria da parte dell’Antitrust, proprio sulle modalità di indicazione dell’origine del grano della pasta.

«Possiamo semplicemente annotare un dato di mercato, a fronte di questa vicenda» – testimonia ancora Dongo: «la domanda di frumento italiano supera di gran lunga l’offerta. Tuttavia ciò non può giustificare alcun tipo di frode, o manomissione di documenti, che abbiano anche un significato e un valore ai fini della gestione della sicurezza alimentare. Perché non solo vengono meno i presupposti per la tracciabilità, ma non si può più nemmeno parlare di produzione di qualità!»

Altra annotazione è necessaria riguardo la geografia stessa della filiera produttiva che riguarda la produzione di pasta. Se l’Italia ne è – e rimane – il primo produttore al mondo e la domanda di pasta continua ad aumentare in Italia (come mostrano i rapporti di COOP), viene da domandarsi come mai non aumenti in corrispondenza anche la quota di superfice agricola, dedicata alla coltura del frumento. Secondo alcune fonti durante questi anni sarebbe stata addirittura registrata una riduzione delle coltivazioni a grano duro.

Ancora una volta ritroviamo il segno di un anello mancante. Un anello rappresentato dagli accordi di filiera che rappresentano esclusivamente gli interessi dei produttori.

Si dovrebbe ricominciare a ragionare in termini di garanzie per i coltivatori, in particolare per i coltivatori che rispettano quelle buone prassi agricole improntando il loro operato all’insegna di una sostenibilità di mercato e di produzione, in modo da garantire anche una forbice di oscillazione tra i pezzi che non sia esclusivamente legata a fattori speculativi, ma che sia effettivamente in grado di corrispondere all’agricoltore un prezzo degno per quanto lui produce.

Sul caso De Cecco aspettiamo gli sviluppi dell’inchiesta, ma il quadro che emerge ci parla di una realtà produttiva poco chiara nei confronti dei consumatori, soprattutto sull’origine degli ingredienti, e dell’ancora insormontabile ostacolo della corruttibilità dei dati.

Valerio Sebastiani