Rifondare il trasporto del cibo ripartendo dai lavoratori

Fateci caso: quando pensiamo alla filiera agroalimentare di sicuro ci riferiamo al mondo agricolo in cui il prodotto nasce, alle varie metodiche produttive, al fruitore che di quel cibo si nutre. Pensiamo alla rete distributiva, alla Gdo, ai problemi insiti in essa e ad alternative ad essa. Parliamo spesso di mercati contadini, in vario modo organizzati, di vendite dirette, ma molto difficilmente il nostro pensiero si rivolgerà al mondo del trasporto, della logistica e del cosiddetto delivery, che tanto invece influenzano il mondo e la filiera del cibo.

Il trasporto rappresenta quindi un aspetto strategico, fondamentale, del mondo agroalimentare, le cui criticità toccano tanto la questione agricola quanto la questione del cibo e dell’accesso ad esso. In particolare, il trasporto su gomma – per meglio dire l’autotrasporto – che inevitabilmente entra in gioco quantomeno all’inizio e alla fine del processo di consegna.

Radio IàFuë PerlaTerra ha deciso di investigare questo mondo, ospitando oggi, nella rubrica “La cassetta degli attrezzi“, Stefania Parlato e Sergio Grujic, rispettivamente consigliera e responsabile di “Agorà 2.0 – Mobilitazione nel trasporto”, un’associazione di operatori che si distingue per l’impegno a far valere i diritti dei lavoratori di questo settore. Ma anche per divulgare e denunciare le problematiche insite in questo mondo, i limiti della legislazione europea, i rischi che si profilano chiari all’orizzonte, ma che la politica al momento pare non vedere.

Limiti e rischi che in questi ultimi anni si sono dapprima palesati, e poi ingigantiti, incidendo inevitabilmente sulle sorti del mondo agricolo, su quelle dei mercati e infine sui fruitori del cibo, i cittadini. Bene, Agorà 2.0 è una realtà di autotrasportatori che vuole andare oltre la tutela dei propri associati, ponendosi i problemi che il trasporto su gomma induce a monte e a valle delle azioni di ritiro e di consegna.

«La nostra associazione si batte, ogni giorno, per portare all’esterno questioni sensibili, che non riguardano solo gli addetti ai lavori», esordisce Sergio Grujic. «Per noi spiegare alla pubblica opinione l’importanza di questo settore e far capire i perché della poca considerazione e superficialità con cui il nostro comparto viene considerato, è un’azione fondamentale».

Il mondo del trasporto è governato da dinamiche europee, non solo locali, che vanno profondamente ripensate, per tamponare disequilibri, illeciti, concorrenze sleali che si sono venute a creare in quanto la “casa attuale” del comparto è stata costruita su fondamenta inadeguate, ovvero sbagliate.

In Italia, la circolazione delle merci dall’estero ha introdotto una forte competizione tra i lavoratori, inducendo un gioco al ribasso delle tariffe, e comportamenti speculativi da parte delle grandi aziende che utilizzano questi servizi: basti pensare che il 65% dei prodotti agroalimentari in entrata nel nostro Paese avviene su camion stranieri. Tre mezzi su cinque giungono dai Paesi dell’Est; uno su tre dalla Polonia.

«L’autotrasportatore italiano», incalza Grujic, «è rimasto solo sulla carta». Se si fa eccezione per i padroncini, sempre meno attivi sullo scenario nazionale, il mercato interno vede la presenza della piccola e media impresa, con i grandi player che hanno largamente delocalizzato: si tratta «per lo più di aziende che sono italiane sulla carta, operano in Italia, consegnando a clienti del nostro Paese ma utilizzando prevalentemente camion e mano d’opera dell’Est Europa».

«In questo modo», spiega Grujic, «anche il nostro Stato ne esce sconfitto, perdendo importanti emolumenti finanziari, in quanto gli operatori con sede nei Paesi dell’Est – pur operando prevalentemente o solo in Italia, versano là le loro tasse, anziché qua. Se non si correrà ai ripari, di questo passo  l’autotrasportatore e il padroncino italiani sono destinati a scomparire».

Ma non solo. La liberalizzazione selvaggia del settore ha portato alla erosione dei diritti del lavoro: oramai non è più il trasportatore a proporre un servizio e un prezzo al committente. «Il sistema funziona all’inverso», insiste Grujic: «è il committente che fa il prezzo, e questa non è certo una situazione sana. Bisogna decidere come intervenire, mettendo in campo tutti gli strumenti di cui si può disporre», ma prima di fare questo è necessario portare le proprie istanze al mondo della politica.

«Bisogna operare per la legalità e nella legalità», prosegue il responsabile di Agorà 2.0, «per rivitalizzare un settore che negli ultimi dieci anni – con le attuali associazioni e sindacati di categoria seduti ai tavoli ministeriali – ha perso 135mila posti di lavoro: vale a dire una realtà nove volte più grande dell’Ilva». «Perché allora non si interviene? Perché non si trova la forza e il coraggio di affrontare il tema dell’autotrasporto?».

«Purtroppo la questione dei lavoratori stranieri», aggiunge Stefania Parlato,  «e la competizione con quelli è vista erroneamente come il frutto di una pratica sleale: a guardar bene si tratta di una lotta tra poveri, che porta la qualità del trasporto e la qualità dei contratti sempre più in basso. La realtà è che con queste logiche stiamo tutti perdendo».

E stanno perdendo – è evidente – anche gli agricoltori, i pescatori e i fruitori del cibo, ed è per questo che Radio IàFuë tornerà a parlare di autotrasporti, affrontando più nel dettaglio e meglio le varie sfaccettature di una questione assai complessa, su cui oggi (ascolta qui la trasmissione in video dal canale YouTube della radio) abbiamo avuto uno sguardo generale, sufficiente a cogliere per grandi linee le criticità salienti e le interlocuzioni che bisognerà cercare per affrontare e risolvere i problemi.

Trasporto chiama trasporto: la vicenda dei rider del cibo

Se c’è un altro fronte su cui il ritardo di politica e istituzioni è palese, nel mondo del trasporto del cibo, è quello dei cosiddetti rider, o ciclo-fattorini: una realtà prevalentemente urbana venuta alla ribalta negli ultimi anni e caratterizzata dalla precarietà di un lavoro che investe principalmente stranieri impegnati a consegnare cibo a domicilio. Senza che i loro diritti di lavoro siano minimamente riconosciuti: niente indennizzo per malattia, niente ferie, niente contributi e contratti lontani anni luce da quelli nazionali di lavoro.

Le criticità di questa categoria di operatori si sono acuite nella scorsa primavera, con il lockdown, che ha fatto emergere una realtà di vaste dimensioni, esposta a criticità evidenti (nel traffico, nello smog, lavorando con ogni clima, con regole d’ingaggio assai discutibili), in cui gli imprenditori non entrano minimamente in contatto con i loro collaboratori se non attraverso una App che indica dove andare a prendere del cibo e dove portarlo. Una situazione quantomeno poco chiara per non dire torbida, all’interno della quale sono state operate azioni banditesche, ai limiti se non oltre il confine della legalità: dal lavoro a cottimo al sequestro delle mance, solo per dirne due.

Di questo e di altri risvolti della vicenda, che nei giorni scorsi ha visto la Uber Eats commissariata a Milano per caporalato, ci ha parlato Fabio Sebastiani nello spazio “In coda” del Notiziario di Radio IàFuë di questa mattina.

Vedi la trasmissione sugli autotrasportatori dell’agroalimentare su Radio IàFuë

Vedi l’intervento del direttore di Radio IàFuë sulla situazione dei rider in Italia (44:45)