La nuova PAC: ripartire dal lavoro!

editoriale del 5-11-2020 di Maurizio Grosso*


Fino a qualche settimana fa la nuova PAC veniva immaginata dagli addetti ai lavori come una riforma rivoluzionaria capace di mettere in discussione il modello industriale/produttivistico che l’ha caratterizzata fino ad oggi poiché avrebbe dovuto aprire al Green Deal, alla strategia farm to fork, alla biodiversità, ecc.
Oggi che siamo nella fase della sua definizione, registriamo che poco di tutto ciò risulta essere all’ordine del giorno e che quindi, gli agricoltori italiani continueranno a rappresentare uno dei settori più poveri della società europea con redditi inferiori al 50% rispetto agli agricoltori degli altri stati. Questa PAC manterrà la concentrazione dei sussidi disponibili nelle tasche dell’agricoltura produttivistica a discapito della specificità delle piccole e medie aziende italiane e mediterranee. Come se ciò non bastasse, di conseguenza, non verrà messo un freno all’emorragia che vede la scomparsa di migliaia di aziende, all’invecchiamento della popolazione agricola,
alla desertificazione delle aree rurali e dulcis in fundo, al deterioramento della qualità del cibo. La PAC che rappresenta il 37% del bilancio europeo, continuerà pertanto, ad incidere rispetto al reddito degli agricoltori italiani per poco più del 28% mentre per la media degli agricoltori europei per il 40% dei propri redditi.
Davanti ad un quadro cosi drammatico in cui la PAC non ha nè la sensibilità nè l’intelligenza di puntare sulla sovranità alimentare attraverso la valorizzazione dell’agricoltura mediterranea, il Km zero, la tutela delle biodiversità, il Geen deal, la valorizzazione delle specificità produttive territoriali, ma ripetiamo, solo esclusivamente all’agricoltura industrialista/produttivistica figlia della globalizzazione, per ovvie ragioni, è evidente l’espulsione del tema del lavoro/diritti per coloro che prestano attività per conto dell’agricoltore.
Se un agricoltore italiano è e rimane molto più povero di quello europeo, come farà ad assumere un bracciante per prestare attività lavorativa nei campi? Come farà a pagarlo secondo i dettami del CCNL di categoria?
E’ ovvio che la nuova PAC così come è stata costruita, è una PAC che ripenalizza gli agricoltori mediterranei ma anche i braccianti che per conto di essi lavorano in qualsiasi fase della produzione e costringe entrambi alla marginalità.
E’ pertanto necessario non solo cambiare la PAC nella direzione dell’introduzione di strategie che puntano sulla valorizzazione dell’agricoltura mediterranea, sulle specificità territoriali, sul Km zero, ecc al fine di tutelare la piccola e media azienda agricola, ma anche sull’introduzione di parametri sociali che puntano sulla tutela del lavoro del bracciante in senso stretto a partire dai diritti. Serve pertanto che vengano introdotti vincoli precisi per modulare i contributi. Significa che più “lavoro buono” un’azienda agricola è capace di realizzare, ossia, lavoro che produce cibo sano rispettando i diritti dei braccianti, più l’azienda agricola deve essere premiata.
I sussidi assegnati alle aziende agricole devono avere tra le condizionalità che li determinano, una condizionalità specifica legata alla quantità e qualità di lavoro buono prodotto anche in chiave della auspicata sovranità alimentare (non ci può essere d’altronde, nessuna sovranità alimentare che non abbia nel DNA i diritti dei lavoratori agricoli).
In questo contesto risulta singolare la miopia e il silenzio manifestato dai sindacati confederali rispetto alla definizione della nuova PAC: è come se non capissero che attraverso l’impianto complessivo della nuova PAC è in agguato un attacco senza precedenti ai diritti dei braccianti in senso stretto oltre che dell’agroalimentare.
Su questo aspetto, il SIFUS che è anche referente della LILCA e fa parte integrante dell’alleanza per la sovranità alimentare, spenderà le sue energie nelle prossime settimane.

  • Maurizio Grosso è Segretario del SIFUS e referente della LILCA
    (Lega dei Lavoratori del Campo e dell’Agroalimentare promossa all’interno dell’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare)