Perché il coronavirus ha fatto crollare il prezzo di zucchero e olio di semi

Il petrolio, sotto i minimi durante il lockdown, ha reso non conveniente produrre etanolo e biodiesel. E i produttori hanno cercato nuovi sbocchi di mercato

Tra i tanti effetti collaterali che il coronavirus ha avuto in questi mesi, c’è quello di aver fatto scendere, e di parecchio, i prezzi dello zucchero e degli olii di semi vari, da quello di girasole – il più usato ormai in Europa – a quello di palma. Per la felicità dei consumatori che impastano torte e, perché no, dell’industria alimentare. Come è possibile?

La chiave è nel petrolio: il suo prezzo è sceso al minimo, durante il primo lockdown. Anzi, addirittura sotto ai minimi, perché anche solo conservarlo negli impianti di stoccaggio era diventato uno costo. Con prezzi così, produrre etanolo e biodiesel al posto di benzina e gasolio non era più conveniente: a quel punto, i grandi produttori di canna da zucchero e di semi vegetali hanno preferito trasformare tutta la materia prima in zucchero raffinato e olii alimentari.

Per un po’ ha funzionato, poi per la legge dell’eccesso di offerta anche quei prezzi sono crollati. Negli stessi mesi i cui il prezzo del frumento schizzava alle stelle e tutti facevano scorte di pasta, lo zucchero nel mondo passava da 451 a 308 dollari alla tonnellata, mentre l’olio di palma scendeva da 3.092 a 2mila ringgit sulla piazza di Kuala Lumpur. Ad oggi, nessuno di questi due ingredienti si è ancora ripreso del tutto: lo zucchero è fermo a 407 dollari e l’olio di palma a 2.900 ringgit.

Chi ci guadagna? «In primo luogo i consumatori sudamericani, asiatici, africani e, in generale, tutti coloro che sono grandi utilizzatori di prodotti primari sfusi», dice Mauro Bruni, presidente di Areté, società di ricerca e consulenza specializzata nei settori dell’agricoltura e del food. Nelle tasche dell’industria alimentare, invece, il gioco quest’anno potrebbe anche finire a somma zero: per un olio di girasoli il cui prezzo è calato, infatti, quello del grano duro è cresciuto da 200 a 280 euro alla tonnellata.

E se da un lato il prezzo del latte è sceso, dall’altro quello delle uova è salito. «Difficile dire chi ha speso di più e chi ha speso di meno – dice Bruni – i produttori di pasta, per esempio, per i quali il grano duro è l’ingrediente preponderante, hanno certamente assistito a un rincaro delle materie prime». Per chi invece fa brioches, con farina, zucchero, uova e burro, il discorso è più complesso.