Ho ritrovato un pò per caso questa citazione di Calvino che appartiene a un libro “Marcovaldo” scritto nel 1966. Ricordo di averlo letto alle medie e di averlo trovato buffo e sopratutto di aver provato tanta compassione per quel povero personaggio a cui ne succedono di ‘cotte e di crude‘ solo perchè mal sopporta la città che lo ospita (così perfettamente indossata da tutti gli altri suoi abitanti e così scomoda, invece, per il suo modo di essere), in continua ricerca di un suo habitat ideale all’interno di questo contesto ostile.
Una ricerca che quasi sempre si risolve nella costruzione di una dimensione virtuale e onirica, fatta di illusioni e di immagini faticosamente create dalla sua prospettiva mentale fanciullesca e forzatamente ottimistica, pronta a rinnovarsi dopo ogni collasso, che giunge inevitabile, al momento dello scontro con l’onnipresente realtà dei fatti.
Marcovaldo è, infatti, sempre alla ricerca disperata di piccoli stralci di natura in mezzo alle cortine cementizie della sua città, traendo una gioia fanciullesca dalla scoperta di un fungo, nell’aiuola spartitraffico della fermata del tram, oppure dall’avvistamento di stormi di uccelli nel fazzoletto di cielo che intravede fra i tetti.
A rileggerlo adesso mi accorgo che nelle disavventure con le quali il personaggio si trova a convivere il messaggio di Calvino non vuole affatto essere rassicurante: la critica alla “civiltà industriale” non si accompagna all’idealizzazione della vita in campagna o della natura e, dunque, non offre quella prospettiva come via salvifica.
La “salvezza” dell’uomo di città non sta dunque nella fuga dalla città. Non esistono strade facili per recuperare un nuovo rapporto con la essa ed è lo stesso Calvino a chiederselo: “Ma esiste ancora, la Natura? Quella che Marcovaldo trova è una Natura dispettosa, contraffatta, compromessa con la vita artificiale.”
Da quando Calvino sentiva la natura matrigna è inutile dire che la distanza tra città e campagna si è fortemente acuita e nonostante, ancora oggi, per vendere prodotti alimentari, ci si serve di immagini di un mondo rurale e agreste e nei supermercati molte confezioni presentano contadini e fattorie stile anni ’30, con palizzate di legno e bei prati verdi facendo leva su un immaginario bucolico, la realtà è ben diversa.
Viviamo in un’epoca in cui i bambini sono definiti “nativi digitali” ma che si sentono minacciati se trovano un insetto in casa, che non sopportano la sabbia tra le mani. Tutti noi mal sopportiamo qualsiasi odore la campagna ci restituisca: escrementi, sudore, erba marcia, etc. e nulla o pochissimo sappiamo di ciò che mangiano o arriva sulle nostre tavole.
Per non parlare di quello che avvertiamo andando al supermercato: le stagioni non esistono più ed è possibile, ad esempio, acquistare tutto l’anno pomodori coltivati dall’altra parte del globo, raccolti ancora acerbi e fatti maturare con l’etilene che hanno l’aspetto del pomodoro ma lo sono solo in apparenza ossia ne rappresentano l’idea.
Nel reparto delle carni non si trovano più tagli con l’osso.
Viene volutamente celato il sipario tra noi e il luogo di provenienza dei cibi. Le industrie spesso non vogliono che si sappia la verità perchè se il consumatore la conoscesse non comprerebbe. Se seguissimo infatti a ritroso la filiera produttiva di queste confezioni di carne, sicuramente non troveremo certo una fattoria, ma una fabbrica dove gli animali vivono in piccole gabbie fortemente stressati e imbottiti di chissà quali porcherie.
La realtà è ben diversa da ciò che in genere si crede o da quello che vogliono farci credere.
Gli animali e i lavoratori vengono maltrattati e sfruttati. Gli alimenti sono diventati pericolosi e tutto ciò ci viene intenzionalmente nascosto. Esiste una ristretta cerchia di multinazionali che controlla l’intera produzione alimentare, dal seme al supermercato e che sta assumendo un crescente potere.
Non è solo una questione di cibo e di ambiente trasformato e non più naturale ma è a rischio anche la libertà di espressione e il diritto d’informazione.
Se Marcovaldo oggi fosse tra noi si accorgerebbe che non solo la città gli sarebbe ostile ma anche la natura e il mondo rurale. Non potrebbe più rifugiarcisi prendendo consapevolezza che l’abbondanza, il consumismo e la libertà di scelta sembra di vivere, sono solo fittizie. Si troverebbe a vivere un’illusione di diversità.
E’ inutile dire che le attuali crisi e il momento storico che stiamo vivendo rendono evidente la necessità di trasformazioni profonde. La natura è ancora una risorsa per tutti e dobbiamo riscoprirla per divenire migliori e preservarla godendocela come Salvatore Santoro fa quando la immortala nei suoi scatti.
clicca sulle foto per ingrandirle…