Tutti per Terra sulla Nostra Terra. Pratiche, organizzazione e progetti per riprendersi il futuro

Il 29 Luglio sarò con una delegazione di Altragricoltura Basilicata composta da alcuni agricoltori a San Chirico girotondo_perlaterraRaparo (in  Basilicata), nel cuore dello scontro per liberare il territorio lucano dall’aggressione delle lobbyes petrolifere che proprio in quell’area conosce il massimo impatto. Saremo a San Chirico Raparo in C.da Le Mattine dalle 17,30 accogliendo l’invito arrivato dalla Comunità di pratica “Tutti a terra sulla nostra Terra”.
Un invito che arriva nel momento in cui in Basilicata si discute delle prossime elezioni regionali di Novembre e i riflettori sono puntati sul teatrino degli accordi elettorali e sulle mosse dei candidati in pectore; riflettori che illuminano un inquietante possibile scenario di assoluta continuità con il passato e con le condizioni che hanno portato la Regione alla crisi ricacciando i cittadini e le aree rurali in una situazione drammatica.
Ci saremo non solo per portare il senso del nostro impegno per salvare l’agricoltura lucana dalla crisi mortale in cui è ricacciata ma, anche e soprattutto, per condividere con quanti saranno con noi un gesto antico compiuto dai nostri contadini da innumerevoli generazioni: quello di sedersi per terra e socializzare raccontando esperienze, problemi e speranze.
Un gesto che richiama il senso profondo e antico dell’essere comunità che univa i rapporti sociali e nutriva l’identità e la produzione culturale nelle aree rurali della Basilicata. Gesti e dimensioni possibili perché direttamente collegate al rapporto con la terra, al rispetto dei suoi tempi ed alla consapevolezza che la coltivazione delle sue risorse e la loro tutela era la condizione prima per garantire la ricchezza sociale di tutta la comunità e non solo di che ne possedeva la proprietà.
Oggi, nel tempo della crisi drammatica che condanna le nostre campagne all’abbandono, alla desertificazione delle attività agricole, alla logica del massimo sfruttamento delle risorse ed alla loro privatizzazione, allo sciacallaggio ed allo sfruttamento dei nuovi barbari travestiti da usurai, banchieri o finanzieri, predatori di risorse naturali e speculatori, compiere un gesto così “normale” ma così “sovversivo” come quello di condividere il rapporto con la terra vuol dire, prima di tutto, ripartire dalla consapevolezza di quanto grande sia il fallimento dell’idea di sviluppo e di modernità che ha ridotto la Basilicata a considerare le sue più straordinarie ricchezze come un peso da svendere.
Qualche dato (solo dell’ultimo anno): secondo i dati di Unioncamere, le aziende agricole e zootecniche attive al 30 marzo 2013 sono 18.439 (erano 18.651 al 30 marzo 2012) di cui 10.731 in provincia di Potenza e 7.708 in quella di Matera. Nel 2012 le aziende agricole lucane che hanno chiuso l’attività per effetto della crisi sono 1228. In particolare, secondo i dati ufficiali di Unioncamere, sono state 816 in provincia di Potenza e 412 in provincia di Matera le imprese della coltivazione dei campi che sono state cancellate dagli albi delle due Cciaa.
Nel primo trimestre 2013 sono 550 le aziende agricole e zootecniche lucane che sono state cancellate dagli Albi delle Cciaa di Potenza (348) e Matera (202).
E’ naturale tutto questo? La gente va via dalla terra perchè “fa cafone e non è trendy”? E’ dovuto alle contingenze ambientali, al maltempo, a qualche calamità?
Forse, in effetti, una calamità c’è stata. Non ha colpito solo nell’ultimo anno ma fa danni ormai da almeno 2 o 3 decenni, danni che si stanno manifestando come una metastasi che esplode violentemente ed all’improvviso ma che scava da tempo: la classe dirigente che ha compiuto le scelte di governo che hanno ridotto le nostre campagne in una situazione pericolosissima in nome della totale subalternità al modello agroalimentare imposto dalle scelte nazionali e internazionali, all’idea del massimo sfruttamento delle risorse, dell’agricoltura nelle aree di piana come reparto all’aperto della produzione industriale e della commercializzazione e di quella delle aree interne condannata alla sussistenza ed alla marginalità. Un’idea che considera la terra non più come il luogo dove produrre ricchezza sociale coltivandola ma solo come occasione di business quando riesce a perforarla con le trivelle, con l’Alta velocità, con distese di pannelli fotovoltaici, con colate di cemento.
Classi dirigenti regionali ispirate da una politica incapace di mettere a valore i nostri patrimoni in percorsi di sviluppo autocentrato per limitarsi ad amministrare gli effetti di modelli insostenibili ed iniqui limitandosi a tenere la contabilità delle aziende che chiudono, dei giovani che spopolano i nostri paesi, degli ettari di terra che vengono abbandonati o devastati da speculazione e incuria. Certo: sempre pronta alla pacca sulla spalla per dare solidarietà a chi sta uccidendo, efficientissima nel chiedere il voto ma assolutamente incapace di offrire soluzioni ai danni che ha prodotto.
La Comunità di pratiche “Tutti a terra sulla nostra Terra” ha invitato a partecipare ed incontrarsi e noi saremo li innanzitutto per testimoniare della più grande urgenza di cui abbiamo bisogno per recuperare le condizioni in cui il rapporto con la terra possa essere il motore di nuove occasioni di economia sociale, di produzione culturale, di senso identitario e, appunto, di ricostruzione delle comunità: un profondo cambiamento nelle scelte istituzionali e di governo che, scegliendo di costringere i nostri agricoltori a trasformarsi in imprenditori mentre li consegnava ad un mercato retto da regole truccate, ha deciso la morte della nostra agricoltura, delle nostre aree rurali e delle nostre aziende.
Diremo con poche parole, nei pochi minuti in cui i gesti saranno accompagnati alle parole, che il problema del cambiamento non è scegliere fra alternative politiche finte, fra quanti si dicono di destra, di centro o di sinistra mentre in realtà condividono (insieme) la subalternità al modello della crisi, all’ideologia del mercato ed alla globalizzazione neoliberista; al contrario diremo che le scelte per uscire dalla crisi saranno possibili solo se le classi dirigenti che saranno chiamate in futuro alle responsabilità capiranno che la crisi rurale è determinata proprio dalle scelte politiche che hanno ispirato fin qui i governi nazionali e quello della Basilicata e, dunque, prenderanno un’altra direzione: quella del restituire ai cittadini (ed alle comunità organizzate) il diritto di scegliere cosa, come e per chi produrre e gestire il territorio. In una parola se sceglieranno di lavorare alla Sovranità Alimentare come modello sociale, produttivo ed economico che non solo rende di nuovo possibile e utile il lavoro della terra, il suo uso consapevole e responsabile, la sua messa a valore come patrimonio collettivo che nutre la ricchezza sociale delle nostre comunità ma tutela gli interessi generali del Paese.
Saremo, però, a San Chirico Raparo anche per condividere i gesti perché rimandano ad un contenuto che ci piace: quella del fare, quella dell’azione che non si rassegna, quella che nutre le comunità in nome del principio per cui ognuno contribuisce per come può alla dimensione collettiva dei percorsi necessari e possibili.
Ci piace la scelta di dare vita ad una Comunità di Pratiche perchè dimostra che, qui ed ora e nonostante l’ignavia e la responsabilità della politica, è possibile riprendersi spazi di lavoro, di produzione economica e culturale, di socialità che chiama direttamente in causa le nostre responsabilità di soggetti che scelgono di sottrarsi al ciclo di produzione, distribuzione, consumo in cui siamo solo consumatori per diventare cittadini consapevoli impegnati nel dovere di produrre identità e comunità e in campo per rivendicare e pretendere diritti.
Altragricoltura si definisce, al tempo stesso, “Movimento, Rete delle Pratiche sociali e Sindacato” e si costruisce quotidianamente con la critica, la proposta e l’iniziativa. Ci piace e ci appartiene questa modalità di tenere insieme quello che la crisi vorrebbe dividere:  gli obiettivi e le piattaforme per uscire dalla crisi, le pratiche qui ed ora per riprendersi spazi fisici, economici e culturali negati, l’idea della partecipazione che non delega più la politica ma si fa direttamente rappresentanza e lo fa scegliendo gli interessi generali e collettivi alla difesa della terra e delle relazioni che vi si esprimono.
Per questo, a San Chirico Raparo, nel cuore di un territorio esposto all’aggressione della speculazione delle lobbyes petroliere saremo non solo per condividere il cibo buono non inquinato dal petrolio ma anche per scrivere un documento che intitoleremo “Terra No Triv”, base sulla quale nei prossimi mesi rilanceremo l’iniziativa contro le estrazioni selvagge nelle aree rurali e per compiere un altro tratto di percorso per rafforzare il movimento per la Sovranità Alimentare, base e fondamento della nostra nuova unità.