fonte: Corriere della sera (vedi articolo originale )
Il rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil parla di almeno ottanta aree a rischio, di cui 36 epicentri ad alto tasso di sfruttamento lavorativo. Da nord a sud. Un’Italia fortemente contagiata dal virus del caporalato e con 400.000 persone, di cui circa 100.000 migranti, costretti a subire forme di ricatto e a vivere in condizioni fatiscenti, in villaggi di cartone. Senza contare, che nel settore agroalimentare si stanno facendo sempre più spazio attività illecite come estorsioni, usura a danno degli imprenditori, furti, sofisticazioni alimentari. La minaccia dell’agromafia che diventa uno spettro reale, che strangola, che gestisce un giro d’affari che oscilla tra i 12 ed i 17 miliardi di euro.
IL RAPPORTO – Questo ed altro ancora è contenuto nel “Primo rapporto su agromafie e caporalato”, il dossier curato dall’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil che ha l’obiettivo di analizzare le principali forme di illegalità e di sfruttamento nel settore agroalimentare e di raccontare come il caporalato sia cambiato in questi anni, diventando un ambito di interesse per la criminalità organizzata. «I dati più rilevanti contenuti nel dossier riguardano il costo del caporalato, dell’illegalità nel mercato del lavoro, che noi abbiamo quantificato in circa 420milioni di euro. E poi la presenza di un forte sfruttamento lavorativo che è molto simile a quello che accadeva negli anni ’50 in Italia – spiega Roberto Iovino, Responsabile Nazionale Legalità CGIL – . Nel rapporto, inoltre, si trova una mappatura molto dettagliata degli epicentri di rischio, dove abbiamo riscontrato sfruttamento lavorativo e caporalato».
LE AREE A RISCHIO – La ricerca condotta dall’Osservatorio, quindi, ha coinvolto 14 regioni e 65 province. E la “Mappa delle aree a rischio sfruttamento lavorativo in agricoltura” aiuta a tracciare i flussi stagionali di manodopera e gli epicentri delle zone dove la mano dei caporali è più presente. Oltre 80 gli epicentri di rischio rilevati, di cui 36 ad alto tasso di sfruttamento lavorativo. Il caporalato è diffuso su tutto il territorio nazionale: oltre alle regioni del Sud Italia (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), il fenomeno si sta espandendo anche al Centro-Nord, in particolare in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Veneto e Lazio. Il rapporto, inoltre, spiega che i caporali impongono anche le proprie tasse giornaliere ai lavoratori: 5 euro per il trasporto; 3,5 euro per il panino e 1,5 euro per ogni bottiglia d’acqua consumata.
IL REATO DI CAPORALATO- Da gennaio a novembre del 2012, secondo quanto registrato nel rapporto, sono state 435 le persone arrestate per: riduzione in schiavitù, tratta e commercio di schiavi, alienazione e acquisto di schiavi. Ma dall’entrata in vigore della norma che istituisce il reato di caporalato le persone denunciate o arrestate sono state solo 42, e la metà degli arresti è avvenuto al Centro-Nord. «Il caporalato oggi è un reato penale. Di conseguenza, – aggiunge Iovino – per prevenire la sua presenza nei territori, oltre ad avere una magistratura attenta al problema, è importante che le istituzioni favoriscano un meccanismo di certificazione della legalità nella gestione della manodopera». In che modo? «Costruendo delle liste di prenotazione provinciali finalizzate alla gestione del mercato del lavoro, in modo da premiare quelle aziende virtuose che non si avvalgono dei braccianti forniti dai caporali, ma che selezionano in modo trasparente la loro manodopera».
L’AGROMAFIA – Nel rapporto, infine, anche grazie al contributo di magistrati, giornalisti, lavoratori, sindacalisti, forze dell’ordine e società civile, è emerso in modo allarmante il legame tra il crimine di stampo mafioso ed il settore dell’agroalimentare. Sofisticazioni alimentari, estorsioni, gestione dei mercati generali, del trasporto e della logistica in tutta la filiera. Ed altro ancora. «Quando parliamo di agromafia – chiarisce Iovino – parliamo dell’infiltrazione delle organizzazioni criminali in settori molto importanti per la nostra economia, come quello agricolo e agro-industriale. Le mafie, che seguono il flusso dei soldi, in una fase di crisi del mondo finanziario, hanno deciso di investire in porti sicuri. E la produzione agricola e agroindustriale in Italia è un settore molto redditizio che negli ultimi anni ha visto una strategia fortissima di aggressione da parte delle organizzazioni criminali».
Emiliano Moccia