editoriale di Miriam Corongiu*
Attraversare le campagne della Terra dei Fuochi troppo spesso equivale a camminare tra i rifiuti. Nelle periferie dimenticate dalle istituzioni e da Dio, a bordo campo di troppi fondi coltivati, torreggiano cumuli enormi di munnezza che, sprezzanti e tristissimi, delimitano carreggiate e sentieri.
Bambole di pezza, scocche di motori per barche, polistirolo e tubi flessibili, flaconi di pesticidi, sanitari rotti, enormi sacchi di tessili scartati, amianto, bollette, guaine bituminose, calcinacci, plastica, plastica e ancora plastica: la diversità dei rifiuti a volte sembra perfino più complessa di quella biologica e lascia sgomenti, senza fiato, catapultandoci sempre – anche se ormai ci siamo abituati – in quell’oscura dimensione che è la totale assenza di futuro per chi vive lì, a meno di 100 metri da un numero enorme di sversamenti incontrollati.
Non è un’iperbole, né una condizione solo campana perché le Terre dei Fuochi sono tantissime e sono in tutta Italia, ma è la Campania il laboratorio politico dal basso, quello scientifico e investigativo dal quale si muovono passi sempre più certi verso una verità che chi abita nella munnezza sa da sempre: i rifiuti fanno ammalare. E anche morire.
Lo dice in questi giorni, dopo una lunga scia di pubblicazioni nazionali che hanno convinto tutti tranne la Regione Campania, lo studio scientifico elaborato in accordo tra la Procura di Napoli Nord e l’ISS, condotto sui 38 comuni del circondario della procura, i cui risultati evidenziano un possibile ruolo causale e/o concausale dei siti di rifiuti nell’insorgenza di malattie come il tumore alla mammella, leucemie, asma e di alcuni fenomeni come la prevalenza dei nati pretermine e di malformazioni congenite. Lo stesso studio ci dice anche chiaramente che questi risultati sono emersi in un’area abbastanza omogenea per accesso alle cure e stato socioeconomico delle popolazioni: vuol dire che se dovessi malauguratamente contrarre un tumore al seno, non dipenderà dal fatto che non ho ricevuto adeguata assistenza sanitaria, né dal mio grado di povertà. Dipenderà dal fatto che vivo in Terra dei Fuochi.
Se ho parlato di me è perché io sono non solo donna, ma anche contadina e sconto il doppio svantaggio di avere con ogni probabilità un seno malato nel prossimo futuro e di fare un lavoro coraggioso in un territorio devastato. Non è certo colpa mia se nessuno, da 30 anni, si è mai preso la briga di intervenire seriamente contro gli sversamenti abusivi e i roghi che, principalmente d’estate, sono costretta a denunciare. Ma è mio il problema, però, se chi vuole raggiungere la mia azienda agricola per godere di quell’approccio di comunità di cui tanto mi vanto, è costretto a camminare tra i rifiuti.
Pratico agroecologia, ho fatto analizzare le acque e garantisco ogni fase della produzione. E allora perché la Regione e lo Stato non fanno – anche loro – la loro parte rendendo vero e credibile il modello della sovranità alimentare liberandomi e liberandoci dalle ecomafie e dalle agromafie che minano, dal profondo, il diritto al cibo sano, giusto e accessibile a tutti? Perché è su di me, sul mio corpo e sul mio lavoro, che devono sempre essere scaricati i costi di una gestione inaccettabile del territorio? Non è mia la responsabilità se nemmeno riesco a entrare col trattore nel frutteto e non c’è colpa nel denunciare lo stato assurdo in cui viviamo.
Io per prima, da contadina, ho il dovere di farlo, il dovere di difendere la mia terra da queste bombe chimiche che sono i roghi e gli sversamenti e ho il dovere di proteggere le comunità facendo bene e con amore il mio lavoro. Ma insieme alla mia responsabilità viene quella delle istituzioni e non posso accettare che dopo i risultati scioccanti dello studio della Procura napoletana, che evidenzia l’urgenza di bonifiche, di sorveglianza epidemiologica e di interventi sanitari, il governatore De Luca non abbia detto una sola parola.
Il silenzio è forse dovuto al fatto che le più rivoltanti dichiarazioni sull’inesistenza della Terra dei Fuochi sono state fatte dalle sedi delle maggiori associazioni di categoria di cui si dovevano garantire gli interessi? Perché io non sono un’industriale dell’agricoltura, né contrabbando presidi biologici: ho solo a cuore il futuro di questa terra e, per questo, ho pochi amici importanti.
Mi dispiace – lo dico sul serio – dover pubblicamente annunciare che la Terra dei Fuochi esiste e che uccide.
E visto che sono della provincia e che per questo ragiono male; che sono contadina e quindi lenta, o peggio, tarda; che sono donna e che quindi mi si devono sempre spiegare le cose, non è a me che dovete credere.
Credete alla Procura della Repubblica, ai magistrati, agli scienziati.
Fatevene una ragione.
Io esisto e non ho nessuna intenzione di morire a causa vostra.
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*Miriam Corongiu è un’attivista di Terra dei Fuochi, imprenditrice e dirigente di Altragricoltura. Fa parte del collettivo Tutte Giù Per Terra.