A mo’ di bilancio di fine anno sul “Cibo giusto”, il cibo dei diritti e della salute, per quanto riguarda i vari canali alternativi alla Grande distribuzione, c’è da dire che sono tornati im-provvisamente d’attualità con il dilagare della pandemia, in combinato disposto con un vero e proprio accesso di massa al web. Si va delineando un universo molto composito e variegato di esperienze. Il Covid ha agito come una sorta di lievito madre ponendo, forse troppo repen-tinamente, sia il problema di circuiti di procacciamento laddove si potrebbero verificare chiu-sure momentanee e blocchi nei trasporti della filiera della distribuzione, sia il più generale tema della salute. E quindi, filiera corta e cibo salutare sia nell’assunzione sia nelle varie fasi di produzione, preparazione e distribuzione.
Il moltiplicarsi delle esperienze dimostra la vitalità del movimento, certo. Dall’altra parte, pe-rò, lo stesso movimento sembra trastullarsi in una sorta di vitalità dormiente autocompiaciuta, incapace di cogliere la concorrenzialità rispetto alla Grande distribuzione, che ovviamente nel frattempo non sta con le mani in mano. La Grande distribuzione da una parte, come di-mostra il rapporto Coop 2020, sembra aver definitivamente interiorizzato la necessità di de-dicare sempre maggiori spazi al cosiddetto “cibo etico”, definizione larga che va presa dav-vero con le pinze; dall’altra, però, è consapevole che il legame con il junk food non solo non sarà abbandonato ma sarà rafforzato proprio in relazione al consolidamento della crisi eco-nomica e al perdurare in alcune classi di consumatori di poca disponibilità di risorse econo-miche. Insomma, tutto sembra giocarsi dentro una precisa strategia di marketing. Parados-salmente, la Grande distribuzione è pronta proprio a sfruttare la domanda di “cibo etico”, alle condizioni da lei dettate, nel quadro di un peso maggiore del cibo commerciale. La forbice, quindi, si acuisce. E a spese della salute e dei diritti della collettività. A spese di una svolta effettiva verso un’agricoltura più compatibile con la lotta al climate change.
Il movimento dei gruppi di acquisto, parallelamente, si va consolidando: nuove forme spun-tano all’orizzonte, nuovi territori e soggetti sociali vengono coinvolti, nuove consapevolezze e nuove connotazioni si vanno consolidando. Arrivati a questo punto, però, a tutto questo universo di esperienze andrebbe dato uno sbocco che sia più incisivo rispetto al confronto con la Grande distribuzione e più visibile dal punto di vista comunicativo. Detto più esplici-tamente, c’è un potenziale enorme dal punto di vista del peso economico e sociale e della vertenzialità che questo movimento può sviluppare. Non solo, si tratta di una rete che con po-ca organizzazione in più può davvero fare la differenza aiutando l’agroecologia a trovare nuovi sbocchi e consolidando i processi informativi verso i consumatori in generale.
Non staremo qui a passare in rassegna le varie categorie e tipologie di gruppi di acquisto e di esperienze diffuse che arrivano fino alla stipula di veri e propri patti con i produttori. In sinte-si quello che sta venendo fuori può essere così delineato:
• Gruppi di acquisto connotati da una precisa scelta etica ed esperienziale
• Legami più stretti tra fruitori e produttori
• Gruppi di sostegno all’agricoltura
• Consorzi distrettuali e territoriali mirati allo sviluppo di alcuni prodotti specifici
• Mense popolari
• Cooperative di lavoro nel settore agricolo con distribuzione di prodotti in determinati canali territoriali
• Orti urbani per autoconsumo
• Gruppi di acquisto classici con scelte valutative sui produttori decise collettivamente indi-pendentemente da altri fattori.
• Gruppi di acquisto collettivo per incidere sul prezzo di acquisto
• Gruppi di acquisto in cui sono previste alcune forme di solidarietà come la “sospensione”.
Nel mondo dell’economia molte cose stanno cambiando, il ruolo della spesa pubblica, innan-zitutto, che sembra riportare all’attualità l’importanza della cosiddetta Politica economica, l’impoverimento di sempre maggiori strati di popolazione, un’agricoltura che traguardando la Pac e il New green deal sembra essere maggiormente consapevole dei punti di contatto con il mondo ambientalista nella lotta al climate change. Può bastare? Che ruolo vogliono giocare i consumatori/fruitori in questo contesto storico in cui la loro specificità si definisce con il su-peramento della forma “atomizzata” e individuale del consumo? Per la Grande distribuzione è o no un problema avere di fronte gruppi organizzati piuttosto che acquirenti singoli, sparsi e facilmente ricattabili a causa della crisi economica?
Sta crescendo un movimento a cui le forme del diritto commerciale, per esempio, oppure la jungla delle autorizzazioni e dei balzelli delle varie amministrazioni territoriali, vanno deci-samente strette. Si impongono nuove categorie che cozzano contro l’assetto dei poteri conso-lidati. Poteri forti che hanno la capacità di influire direttamente sulle istituzioni a tutti i livelli.
L’alternativa posta è chiara: o le varie forme di gruppi di acquisto sono in grado di aprire una precisa vertenzialità politica verso le istituzioni con l’obiettivo di rendere esplicita e radicata la propria presenza oppure l’azione della Grande distribuzione renderà residuali e del tutto sterili le varie esperienze costringendole a rinchiudersi dentro la propria particolarità. E quin-di più facilmente ricattabili.
Un’opportunità va colta: la pandemia sta mettendo in discussione i vecchi assetti sia per quel che riguarda la distribuzione che la stessa produzione agricola. Si tratta ora di fare in modo che la vecchia idea di consumatore, connotato dal profilo della scelta individuale, possa di-ventare qualcosa di diverso e di meglio capace di incidere realmente, sulla base delle nuove esperienze, sulle scelte economiche del paese.
[…] iniziamo la nostra giornata. A seguire l’editoriale di Fabio Sebastiani dal titolo “Gruppi di acquisto, quale orizzonte per il 2021” e, in coda, dentro la notizia a cura di Fabio […]