L’inizio di un lungo viaggio da Chef di Cucina Perlaterra e vi spiego il perchè.

editoriale del 09.06.21 a cura di Carlo Romito*

Da qualche tempo seguo le comunicazioni di Perlaterra, associazione multiculturale che cerca di essere un’avanguardia concreta, una punta avanzata dell’immenso e determinante tema della difesa della terra, delle creature che la vivono in prima persona, in tutti i passaggi delle filiere fino al consumatore finale.

Progetto fatto di ambiente, persone, saper fare contadino e artigianale oltre la retorica in cui la società industriale relega a funzione di ricordo romantico e non scommette un cent sui contenuti ma solo sulla sottomissione e la sudditanza che fa male alla terra e ai suoi abitanti e fruitori. Oggi quasi tutti siamo consapevoli delle enormi bugie che stanno dietro al mercato, così come è concepito oggi. Solo per fare un esempio, persino in un paese agricolo contenuto come il Portogallo, sono emersi episodi di schiavitù o semi-schiavitù per centinaia di immigrati est-europei e asiatici in una sola provincia. Occorre spezzare tutti questi automatismi che generano ricchezza solo per pochi e povertà per tanti. Occorre anche per noi cuochi professionisti fare nostro l’appello di Slow Food per Buono, Pulito e Giusto. Buono per i consumatori, pulito per tutti e tutte, giusto per chi ci mette il lavoro.

Ritengo che le professioni del Food & Beverage siano direttamente coinvolte in ogni fase di questo processo e di conseguenza in ogni fase del progetto/associazione Perlaterra e della Stazione Radiofonica ” Iafue perlaTerra”, le testimonianze che emergono seguendo gli interventi e le trasmissioni, non mettono in evidenza solo le negatività, ma al contrario approfondiscono le esperienze positive anche in zone del Paese dove tradizionalmente le difficoltà e le criticità sono maggiori.

Per quanto riguarda il mio settore occorre essere molto chiari sul termine sostenibilità che deve comprendere anche un superamento del concetto industriale della filiera agroalimentare, non si tratta quindi di sostituire un trattore a gasolio con uno elettrico, ma di rispettare lungo la filiera la terra prima di tutto anche intorno, riducendo o azzerando il consumo di suolo e recuperando quello usato, inquinato  e abbandonato, estensioni enormi intorno alle grandi aree industriali del Paese. Anche adottare finalmente, come già fatto in Germania,  una Norma Cogente specifica per il minimo salariale decente per tutti i settori, nessuno escluso, applicare a tappeto le Norme che già esistono per impedire totalmente giornate di lavoro oltre le 10 ore. Verificare sempre la provenienza dei prodotti, le condizioni di trasporto, la freschezza, l’autenticità, fare analisi sull’uso dei prodotti chimici, soprattutto sulle verdure a foglia aperta e sulla frutta e, nel caso che risultino prodotti proibiti dalla Legge segnalare all’ASL e ai NAS l’azienda è un dovere nuovo per tutta la filiera. Acquistare direttamente dal produttore può e deve essere un nuovo metodo di acquisto anche per la ristorazione professionale, così come avviene da molto tempo per il comparto vini di pregio. Evitare il prodotto trasformato industrialmente e spesso “truccato e imbellettato” ai fini commerciali, che non è quasi mai il prodotto e la preparazione tradizionale, ma un prodotto che tende a saltare le fasi naturali di maturazione, eliminare o limitare i prodotti costosi contenuti e rendere sapidi e attraenti composti di qualità decisamente inferiori rispetto al prodotto tradizionale. Eliminare fasi di lavorazione intermedie che hanno grandi consumi di energia e di acqua, la ricerca tecnologica esasperata non serve a molto nel risultato finale di vendita, più manipolazione significa inutili sprechi.

Tornare alla cucina del mercato, quella quotidiana significa anche ridurre i passaggi, i costosi consumi di energia elettrica, l’immagazzinamento, il controllo costante e anche il dannoso riciclo di cibi esausti.

E’ l’anno zero anche per me, l’inizio di un lungo viaggio insieme ad altri soggetti impegnati, insieme alla consapevolezza che la terra è una, non esiste quella di ricambio e che anche noi, così legati ai consumi e agli sprechi, possiamo trovare un nostro percorso che non sia mortificazione delle nostre professionalità, ma al contrario offrire qualità vera e sana, offrire esperienze davvero uniche con al centro l’ambiente insieme a tutti i soggetti che concorrono, con rispetto, alla trasformazione degli alimenti in cibi che contengono tutto il nostro bagaglio della storia della cultura materiale dell’alimentazione, finalmente liberata dalla sola e unica organizzazione  industriale e commerciale degli ultimi 100 anni.


*chef Rete perlaTerra