Chiariamo bene gli obiettivi: riconversione ecologica, altro che transizione

L’INGANNO DELLA TRANSIZIONE ECOLOGICA (SECONDA PARTE)

editoriale di Dante Schiavon

Manca pochissimo al 2030 per poter raggiungere l’obiettivo della riduzione delle emissioni del 50%. Una reale “transizione ecologica” non può  prevedere compromessi e scelte indolori e opportuniste: non lascia più spazio ad accomodamenti, ambiguità, interessi, rinvii. Ecco perché si deve parlare di urgente “riconversione ecologica”, proprio perché il “fattore tempo”, grazie alla stupidità umana e alla voracità capitalistica, l’abbiamo sprecato. Il rischio di una “ambigua” e “inconcludente” transizione ecologica, oltre allo spreco  del fattore tempo,  è rappresentato dalla declinazione opposta  del termine “sostenibilità”, ormai diventato un ossimoro, specie quando si subordina la “riconversione ecologica” alla sua “sostenibilità economica”,  come se salvare la terra, l’umanità, il futuro delle generazioni dovessero ancora una volta essere subordinate alle leggi del profitto. Va stoppata la demagogia populista sui costi sociali della riconversione ecologica. Chi invoca la “sostenibilità economica” e sociale e la pone come “conditio sine qua non”  della “riconversione ecologica”  dei  processi produttivi e degli  insediamenti urbani e produttivi, paradossalmente, ignora e accetta senza batter ciglio i posti di lavoro che si perdono o le aziende che falliscono per la globalizzazione, la digitalizzazione, l’informatizzazione, l’automazione di servizi e processi produttivi,  come se questi fossero “naturali” e quelli derivanti dalla riconversione ecologica fossero un limite. La “riconversione ecologica”  deve partire dallo stato di conservazione  della “crosta terrestre” e degli strati della nostra “atmosfera”. Gli esempi di false declinazioni ecologiche di termini come “transizione ecologica” sono sotto i nostri occhi. Non è “transizione ecologica”, da finanziare con i fondi del Recovery Plan, lo spettacolo a cui stiamo assistendo nei nostri boschi, teatro di un attacco senza precedenti per attività selvicolturali di tipo industriale e massivo, portate avanti grazie al Testo Unico in materia di Foreste e Filiere Forestali e dove le piante, che fissano il carbonio e ci regalano ossigeno, e perciò “bene comune” costituzionalmente garantito, vengono sterminate per il loro utilizzo commerciale. Non è “transizione ecologica”, da finanziare con i fondi del Recovery Plan,  la proroga della detassazione del  carburante per il trasporto aereo che con i suoi 900 grammi di C02 per chilometro è il mezzo di trasporto più inquinante. Non è transizione ecologica, da finanziare con il Recovery Plan, la trasformazione dei rifiuti che, con terminologia “greenwashing”, diventano magicamente Combustibili Solidi Secondari (CSS) con cui alimentare cementifici e inquinare l’aria delle popolazioni limitrofe, rinunciando a sfruttare al meglio la raccolta differenziata, il riciclo, il riutilizzo dei materiali. Non è “transizione ecologica”, da finanziare con i fondi del Recovery Plan, “l’artificializzazione” della montagna e delle zone interne con la creazione di 1000 invasi artificiali per la raccolta e distribuzione dell’acqua  perché accentuano il dissesto geologico, idrogeologico, paesaggistico delle nostre montagne e dei nostri boschi e perché non è  moralmente accettabile spacciare per “infrastrutture buone” nuove aggressioni alla geomorfologia dei luoghi, proponendo soluzioni tecnologiche, meccanicistiche a problemi seri come la siccità e la sovranità alimentare. Transizione o riconversione perché siano ecologiche devono  fare rima con “rinaturalizzazione” e non con “artificializzazione” o “predazione di risorse”. Nel caso dello sterminio degli alberi, in atto nelle nostre foreste di montagna e nelle nostre città, è paradossale come si ignorino le loro funzioni ecosistemiche nella produzione di ossigeno e nella fissazione di CO2, anche alla luce della necessità biologica di riattivare quel ciclo virtuoso del carbonio che la fotosintesi aveva reso possibile 450 milioni di anni fa. In Italia va fermato subito il “consumo di suolo”. Va fermato  lo “sterminio delle piante” che oggi vengono eliminate senza ritegno morale nei nostri boschi, lungo i nostri fiumi e nelle nostre città: è una transizione ecologica al contrario. Va combattuta la “declinazione consumistico-tecnologica”  della “transizione ecologica” come se  gli equilibri geologici ed ecologici potessero essere raggiunti attraverso la digitalizzazione  di servizi e processi o con nuovi business economico-finanziari, ma senza intaccare stili di vita e modi di produrre. Solo una reale e immediata  riconversione ecologica con il suo carico di sacrifici a carico di tutti i segmenti della società civile può permettere di  raggiungere gli obiettivi indicati dalla COP 21 di Parigi del 2015. Lo spirito dilatorio e compromissorio di una eventuale transizione ecologica non consente di smascherare l’equivoco di fondo che già oggi si percepisce nell’ammucchiata governativa: subordinare le scelte e le azioni alla loro  compatibilità economica, dimenticando la chiara “funzione compensatoria” e di “indirizzo” sia dei fondi del Recovery Plan, sia del Next Generation Eu. È la politica, la società civile, lo Stato che devono governare questo processo di contrasto ai cambiamenti  climatici e, più che di termini rassicuranti e generici, abbiamo bisogno  di “contenuti” che vanno presentati pubblicamente ancor prima di dichiarare gli uomini che li possono realizzare. Più che di “contenitori vuoti” e con la loro carica di genericità e indefinitezza, come possono essere la nomina di  un “ministero per la transizione ecologica” o slogan inneggianti alla “sostenibilità” e studiati per la comunicazione mediatica,  abbiamo  bisogno di “contenuti” che possano appassionare le persone verso il loro futuro e quello delle giovani generazioni. Greta Thunberg, proprio perché non appartiene a quel mondo ipocrita che sta portando al collasso il pianeta, giustamente afferma, davanti ai tanti bla bla sui cambiamenti climatici: “Se c’è una minaccia esistenziale la tv non dovrebbe parlare d’altro e i politici avrebbero già dovuto fare tutto il necessario, dovrebbero passare tutte le loro ore e i loro giorni per risolvere la situazione e a informare i cittadini di cosa sta succedendo. I politici prima dicono che il contrasto ai cambiamenti climatici è importante poi un attimo dopo vogliono espandere gli aeroporti,  finanziare le risorse energetiche fossili, costruire altre autostrade. Questa non è un’emergenza qualsiasi, questa è la più grande crisi che l’umanità abbia mai affrontato”.