Non basta cantare Bella Ciao per essere partigiani, bisogna mettere in campo una nuova resistenza.

Editoriale del 22.4.21 di Carmine Cocozza

Bella ciao è un canto rivoluzionario per eccellenza, universalmente riconosciuto, si canta dove si combattono ingiustizie. Noi parleremo del “campo”, del nostro campo, dei campi agricoli; quelli su cui miliardi di persone traggono sostentamento, cibo, nutrimento.

Non tutta la popolazione mondiale ha accesso al cibo buono, giusto, nutriente; troppe persone soffrono la fame; troppe persone vivono con pochissima acqua e non sempre è potabile. Occorre un nuovo paradigma sociale ed agricolo, un nuovo ruralesimo; attento, partecipato. La campagna come luogo di benessere per tutti gli esseri viventi che la abitano, custodire i suoli, rispettare i fiumi, le coste, le colline, le terre tremule appenniniche e di tutti gli appennini del Mondo.

Nessun territorio è marginale, tutti sono centrali se vengono tutelati nella loro integrità. La agricoltura può contribuire in maniera fondamentale al riequilibrio dell’eco sistema naturale.

Si comincia tutelando le comunità del cibo, partendo dalle sementi; i semi nascono liberi, li trasporta l’uomo o il vento; cadono a terra e vengono fermentati a nuova vita dagli esseri elementari che popolano il terreno, l’acqua, che scende dalle nuvole è democratica, appartiene a tutti gli esseri viventi, ognuno ne trae nutrimento, ciascuno per le proprie necessità.

L’acqua è di tutti e tale deve restare. Le foreste, o le siepi, sono barriere naturali di difesa dell’eco sistema e per questo devono essere tutelate con rispetto, sacre, come gli usi ed i costumi di ogni villaggio, ogni paese, ogni città. All’inizio del Mondo non vi erano confini geografici, non vi erano barriere, non vi erano oboli da pagare o mercati da sostenere, se non il baratto, come oggi, potrebbe essere la banca del tempo, dove ciascuno mette a disposizione della comunità il suo tempo ed il suo saputo fare. Il campo, quello agricolo è sacro, ogni gesto ed ogni pietra, ogni albero ha storie da raccontare, tramandare, raccontare.

Non sottraiamoci al confronto rispettoso con la natura nei nostri campi. Trarremo giovamento dal recupero di gesti e saperi condivisi, dal lievito madre, ai cesti di vimini, dalla vendemmia, alla raccolta delle olive, ortaggi, o altri prodotti; ancora risultano nelle mappe catastali la “arie” dove di trasformava il grano, fin dai tempi dei buoi che trascinavano una grossa pietra sui covoni, ai bastoni manovrati da uomini; vennero le trebbie fisse e di quegli spazi si servirono, riscopriamo la bellezza delle azioni partecipate, della convivialità gioiosa, della utilità di tutti, a prescindere dalla età anagrafica.

Il neo ruralesimo ci salverà. Ci salveranno gli orti, i nostri e quelli collettivi nelle anse dei fiumi. Produrremo grano e fagioli, olio e vino, ortive di stagione e da conservare essiccate e sottolio, pollame allevato libero e sincero; anche le volpi avranno un senso e la lepre italica, ed il faggiano, e l’istrice ed il riccio, le api, le lucertole, le serpi e le farfalle, e le lucciole e le stelle torneranno visibili nel cielo.

Sarà visibile anche la stella polare, quella che indirizza tutte e tutti alle proprie case, alle proprie mete.