“Cibo naturale”: il Parlamento europeo chiede una definizione giuridica.

Un gruppo di eurodeputati ha scritto a Stella Kyriakides, Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, chiedendo che sia stabilita una definizione giuridica del termine “naturale”, oggi utilizzato nelle etichette alimentari spesso in maniera “ingannevole” per i consumatori.

Quante volte infatti vi sarà capitato di leggere in bella vista su qualche confezione di cibi o bevande la scritta “naturale” o “naturale al 100%”? Ebbene i produttori utilizzano spesso questa terminologia, un pò a loro piacimento mandando, spesso e volentieri in confusione il consumatore.

Questo perchè l’UE non dispone attualmente di una definizione giuridica di termine “naturale” per il prodotto alimentare. Di conseguenza, l’indicazione viene spesso utilizzata per promuovere caratteristiche dei cibi che divergono in modo consistente dalla composizione del prodotto finale.

Come vengono ingannati i consumatori? Secondo l’associazione no profit Safe Food Advocacy Europe (SAFE), senza una definizione legale del termine, i consumatori vengono spesso portati fuori strada. Per loro infatti, “naturale” si riferisce alla lavorazione minima e/o all’assenza di additivi, ha osservato SAFE, così come intendono un prodotto privo di OGM e di sostanze sintetiche che è biodegradabile al 100%.

La definizione sarebbe coerente con le intenzioni dichiarate nella strategia Farm to Fork (F2F): tra queste sono previste infatti, una serie di proposte legislative per bandire le informazioni fuorvianti negli alimenti. 

Diverse analisi prodotte da SAFE su prodotti alimentari hanno dimostrato che la maggior parte contiene sostanze chimiche e sintetiche. A questo si aggiungono affermazioni vaghe e generiche ma suggestive sui packaging alimentari e nelle pubblicità, oltre che sui siti delle aziende, spesso ingannevolmente indotte con informazioni riferite al rispetto per l’ambiente (greenwashing) e a quelle relative a un trattamento umano degli animali allevati (humanewashing).

Federica Dolce, responsabile delle politiche e coordinatrice del progetto presso Safe, ha dichiarato a FoodNavigator che i prodotti con un “vero valore naturale” dovrebbero essere adeguatamente differenziati da quelli con affermazioni “false”. “Questo aiuterà anche la concorrenza e l’innovazione nel settore alimentare, che è uno dei punti più importanti della strategia Farm to Fork”, ha aggiunto, “La transizione verso un sistema alimentare più verde e sostenibile non può avvenire se i produttori di alimenti possono ancora rivendicare caratteristiche che non corrispondono alle aspettative dei consumatori”

La lettera presentata a Stella Kyriakides, quindi, sottolinea che la Regulation (EC) No 1924/2006, ovvero il regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute relativi ai prodotti alimentari, menziona esplicitamente che i criteri per l’etichettatura degli alimenti:

“mirerebbero ad evitare una situazione in cui le indicazioni nutrizionali o sulla salute mascherano il generale stato nutrizionale di un prodotto alimentare, che potrebbe indurre in errore i consumatori quando cercano di fare scelte sane nel contesto di una dieta equilibrata”.

Certo le norme sulla pubblicità ingannevole potrebbero essere utili in questi casi, ma certo la cosa migliore sarebbe una definizione legale che stabilisca in maniera stringente quali sono i requisiti obbligatori per poter usare un termine, come per esempio da qualche anno è in Italia per la birra artigianale. 

La lettera è stata presentata alla Commissione europea il 10 febbraio e SAFE prevede di ricevere una risposta il mese prossimo.