Editoriale del 29 gennaio 2021 di Monica Si Sisto*
Chi vorresti vedere come ministra o ministro dell’Agricoltura? In queste ore la domanda corre veloce nella nostra bolla e ci fa sobbalzare quando emerge questo o quel nome, questo o quel profilo. La vera domanda sulla quale dovremmo concentrarci però è: quali dovrebbero essere le sue priorità?
Non quella di approfittare del caos post Covid e delle vacanze di Natale per spedire a Camera e Senato quattro decreti di apparenti ratifiche europee, con cui invece autorizzare da un lato la sperimentazione in campo aperto dei nuovi Ogm, senza segnalarli ne’ etichettarli come ha chiesto di fare la Corte di giustizia europea; e, dall’altro, provare a riorganizzare il settore delle Sementi impedendo di fatto la riproduzione libera dei semi contadini in azienda. Il mio ministro non dovrebbe farsi beccare da Corporate Europe Observatory a spingere tal quali gli emendamenti alla nuova Politica agricola comune redatti delle grandi organizzazioni di categoria che chiedono di eliminare dal testo ogni riferimento all’impatto della produzione agroalimentare sulla salute umana e del pianeta; o di tagliare ogni riferimento dell’impatto dell’allevamento sui cambiamenti climatici; o di cancellare la richiesta che non si finanzino più schemi di produzione intensivi con impatti negativi su biodiversità e clima.
La mia ministra non dovrebbe invitare il suo omologo statunitense promettendogli di sostenerlo perché stringa con l’Europa un accordo di liberalizzazione commerciale che permetterebbe una concorrenza diretta tra le nostre produzioni e le loro derrate super-sussidiate, che rispettano standard qualitativi, ambientali, sociali e connessi molto più bassi e economici di quelli osservati in Italia. Non dovrebbe sostenere l’approvazione di un altro accordo di libero scambio Ue con Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, che rischia di far espandere, tra l’altro, il loro export di carne bovina, soia ogm, pollo, riso e altre derrate in diretta concorrenza nel mercato Ue con le nostre, e che premono sull’area Amazzonica, che garantisce il 10% dell’ossigeno del Pianeta, accelerandone la deforestazione.
La Commissione europea, almeno sulla carta, chiede alle politiche agricole dei Paesi membri e comune di rispondere attivamente alla svolta verde da essa auspicata. Ma se gli obiettivi ecologici e sociali non si incontrano e succede che al verde ci restano solo le tasche di chi sta sul campo: regna il “si salvi chi può”, soprattutto a fronte di una crisi post-pandemica che colpisce la capacità di acquisto di consumatori finali e trasformatori.
E’ arrivato il momento di cambiare: un terzo delle emissioni globali di CO2 è legato al cibo, e essendo l’agricoltura un’attività prevalentemente a cielo aperto, i cambiamenti climatici e la prevenzione dei fattori scatenanti gli eventi metereologici imprevisti dovrebbero essere la prima preoccupazione di tutte le istituzioni che si occupano di cibo, in primo luogo del ministro dell’Agricoltura. Per questo il mio ministro sceglierebbe con decisione il modello dell’agroecologia e la cura, di lavorare alla qualificazione del valore aggiunto e di biodiversità delle produzioni, accorciando le filiere e spingendo per la loro circolarità in una prospettiva di maggiore redditività di territorio e sostenibilità, rafforzando il mercato interno e avviando una verifica attiva e partecipata della coerenza di tutte le politiche – globali, regionali, nazionali e locali – con questi obiettivi,.
Il mio ministro punterebbe all’ascolto e alla conoscenza: vorrebbe, ad esempio, capire, sulla base di dati pubblici, dai contadini ai consumatori, dagli industriali agli ambientalisti, dai ricercatori ai sindacati alle associazioni, che cosa produciamo e che cosa ci serve davvero, quello che esportiamo e quanto pesa sul nostro ambiente, quanto pesa quello che importiamo sugli ecosistemi dei Paesi che ce li forniscono, i diritti che vengono rispettati e quelli calpestati. Questo è il ministro di cui abbiamo bisogno: astenersi perditempo.
- Giornalista, vicepresidente di Fairwatch
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