Il grano italiano è di gran lunga superiore ma il suo prezzo continua a scendere

editoriale del 18.12.20 di Antonella Russo*

Ribadiamo che il prezzo del grano sta ancora subendo ribassi. La borsa merci di Foggia ha segnato 27.50 con un euro in meno rispetto alla precedente quotazione. Gli agricoltori nonostante siano i proprietari del bene che producono non possono decidere il prezzo del grano e non sono ancora in grado di capire come si determina.

Da Novembre a Bari sono arrivate tre navi dalla Francia e dal Canada sbarcando un milione di tonnellate, sdoganate nel porto di Gibilterra. Non possiamo se ci sono veleni, ma quello che siamo in grado di dire che quando arrivano queste navi il prezzo cade. L’arrivo? Chi lo determina.

Ci vorrebbe una maggiore trasparenza. Risultato, i costi di produzione sono fortemente superiori e il reddito degli agricoltori si riduce. In questo modo si è costretti a ricorrere ad altre fonti di reddito. Rimane il nodo di chi ha investito in attrezzature agricole. C’è poi da menzionare la burocratizzazione. Molti cadono in queste condizioni del cosiddetto mercato. Ci sono per fortuna alcuni strumenti validi, che consentono alle imprese agricole, come la cosiddetta legge sul sovraindebitamento. Consente alle imprese di ridimensionare la propria situazione debitoria.

Tutto questo non è mai stato reso noto. E non capiamo perché.
Il prezzo del grano italiano ha una qualità di gran lunga superiore. A differenza del grano canadese non viene trattato con il glifosato. E anche perché le condizioni climatiche ci consentono di portare il grano all’esatta maturazione senza i pesticidi. Il paradosso è che per il grano italiano è vietato usare il glifosato, salvo importarlo dall’estero. Questo giochino è possibile grazie alla norma sulla “nazionalizzazione”. Si tratta di una pubblicità ingannevole. Sulle etichette c’è scritto pasta made in Italy ma la materia prima proviene dall’estero.

Una vera e propria falsità che mette il consumatore nelle peggiori condizioni di scelta. In un quadro come questo a guadagnare non sono solo le multinazionali del settore ma anche tutto quello che ruota nel settore della farmaceutica. Pensiamo per esempio alla celiachia e alle intolleranze. Senza contare che il nesso con alcune patologie come l’Alzheimer.
Il Ceta, il trattato sul commercio tra Europa e Canada, consente di accogliere questi enormi quantitativi di grano senza che ci sia stato un regolamento di attuazione. E basterebbe che un qualsiasi Parlamento europeo che dicesse no per bloccare tutto.
Il prezzo del grano deve essere superiore ai trenta euro per poter avere un minimo di ricavo. Per tanti agricoltori però in questo conteggio non entrano le ore di lavoro dell’agricoltore stesso. L’unica cosa che ci resta da fare è sollecitare il consumatore. In fondo si tratta della salute dei cittadini.

L’idea è di continuare ad insistere sul tasto dell’informazione coinvolgendo il mainstream e anche lavorando nei territori a diretto contatto con l’opinione pubblica. La sfida è difficile ma è chiaro ormai che c’è in ballo il destino di centinaia di aziende agricole e di tutto l’indotto.

*Antonella Russo è cerealicoltrice e avvocato, animatrice del Comitato delle Masserie Santagatesi (aderente all’Alleanza Sociale per la Sovranità Alimentare) e impegnata in associazioni di difesa dei cittadini,