Pac, ora tocca alla Commissione europea sbrogliare la matassa.

La politica agricola comune assorbe circa un terzo di quanto l’unione europea investe dei nostri soldi nei nostri paesi. Non è una politica come le altre. Tra l’altro è un’azione che parte dal campo passa attraverso l’industria influenza il clima poi arriva sulle nostre tavole ed incide sulla nostra salute. Quindi è una politica tra le più trasversali, omnicompresive ed incisive che possiamo immaginare. Quindi in una fase di crisi climatica e di pandemia in cui la zoonosi e quindi l’intensificazione progressiva degli allevamenti ha avuto un ruolo importante – è assodato che non c’entrano niente i pipistrelli bensì i pig’s hotel dove i maiali vengono allevati e diffusi poi in tutto il pianeta tanto che i focolai più pericolosi si sono verificati nella prima fase nei mattatoi – sarebbe stato ancora più importante dar seguito alle indicazioni della commissione europea sulla Pac che ricordiamo erano linee guida. Due di queste, lastricate di buone intenzioni lasciavano sparpagliate delle vere e proprie mine come la digitalizzazione, competitività, produttività, e altre perle come l’agricoltura di precisione che altro non sono che delle strategie per intensificare dove non c’è quasi più nemmeno la terra. In questo contesto cosa è successo? Che il punto più partecipato della fase di ristrutturazione della politica agricola comune, cioè il parlamento europeo, ha dimostrato quello che noi sappiamo da tempo: nonostante il reddito dell’agricoltura sia in caduta libera e nonostante i profitti della trasformazione crescano senza alcun tipo di valutazione sul loro impatto sul lavoro e i territori la forza della coltura intensiva, dell’industria della trasformazione della distribuzione ha prevalso. Ci sono alcuni paradossi, come il via libera ad arare nelle aree di parco, esattamente quello che contestiamo a Bolsonaro in Amazzonia, come l’intangibilità dell’uso dei pesticidi, dei fertilizzanti e delle sementi geneticamente modificate, o come gli eco-schemi che restano sulla carta e del tutto volontari. Tutto questo ha pesato sul Parlamento, in particolare in un periodo di crisi economica. Dove non ha agito il potere centrale, auspicabilmente dal mio punto di vista, e si è dimostrato che la pressione dei singoli stati alla fine ha prevalso, addirittura contro il buon senso. Per la prima volta il mondo ambientalista, e i settori della produzione agricola che hanno scelto una strada eco-compatibile, si è levato contro con un’unica voce. E la politica sta dimostrando di essere da tutt’altra parte, facendo pagare la crisi sempre agli stessi e distribuendo i soldi ai grandi e vecchi monopolisti, che ci hanno portato al disastro di un’agricoltura sempre più chimica e tecnologica. E’ un modello pieno di diseconomie e sprechi. E il tanto sbandierato cambio di passo non c’è stato. La vecchia Pac arrivava nelle tasche di un’ottantina di aziende in tutta Italia con quote da cinquecentomila euro. E questo ci fa capire come siamo immersi fino al collo nelle nostre contraddizioni. E e i cittadini e i consumatori non faranno sentire la loro voce non c’è una prospettiva diversa da quella che abbiamo conosciuto nel passato, che non parla certo di salubrità diritti e eco-compatibilità. La cosa che ha lasciato tutti questi settori più perplessi e più sconvolti è stata la saldatura a ferro e fuoco tra Partito popolare europeo, socialdemocratici e Reniew Europe, quindi le forze liberiste e conservatrici, che francamente non è nella storia. Rivela una grande miopia delle tre grandi famiglie della politica europea.
C’è una petizione europea che sta andando avanti. La voce dei cittadini si è sentita forte e chiara. Se questa voce sarà forte probabilmente potrebbe succedere tecnicamente che nel trilogo tra Commissione europea, Consiglio europeo si recuperi un senso di realtà. La commissione può sempre ritirare la Pac potendo ritenere che l’equilibrio che si è raggiunto nel Parlamento non aderisce ai requisiti di innovazione che aveva formulato nella sua prima versione. E provare a fare un nuovo atterraggio delle linee guida. Una Commissione così clamorosamente battuta dal Parlamento europeo è indubitabilmente molto fragile. E’ una posizione che francamente non può arrivare dagli stati, e quindi dal Consiglio europeo. Non credo proprio in un momento come questo. Basta guardare alle dichiarazioni giubilanti che sono arrivate dalla ministra Bellanova. Dobbiamo ricordarci sempre che l’agricoltura si fa in campo aperto. E se il clima diventa sempre più instabile o i consumatori sempre meno capienti in mano a questo modello che sta distruggendo se stesso è chiaro che tra non molto non ci saranno più né territori né consumatori. Il cambiamento è impellente e non più rinviabile. E spero che la Commissione su questo sia seria e se è seria torni indietro rispetto a quanto deliberato dal Parlamento europeo.

editoriale del 9.11.20 di Monica Di Sisto*

vedi l’editoriale andato in onda nel Notiziario Dalla Terra del 9.11.20

  • Giornalista e advocacy senior consultant nei temi del commercio globale e dell’economia internazionale, scrive per l’Agenzia di stampa ASCA, Altreconomia, Sbilanciamoci.info ed è tra i fondatori del portale di economia solidale www.comune-info.net. E’ accreditata come giornalista presso le organizzazioni WTO, FAO, IFAD, UNCTAD, UNFCCC. E’ vice presidente di Fairwatch,