I dati allarmanti della «Relazione annuale» del commissario straordinario del governo per le iniziative antiracket e antiusura. Piccole e medie imprese, lavoratori autonomi e liberi professionisti con partita Iva i più danneggiati
Il processo di trasformazione dell’usura, in atto già da tempo, ha subito una brusca accelerazione in tempi di Covid. Dallo strozzino di quartiere al “welfare” mafioso di prossimità. Con i “consulenti” pronti ad offrire aiuto alle famiglie degli esercenti e degli imprenditori in crisi di liquidità.
La fotografia emergente dall’ultima «Relazione annuale» del commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, ha controni drammatici. Le piccole e medie imprese, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti con partita Iva, messi in seria difficoltà dal lockdown, sono «il comparto economico che soffre maggiormente, esposto a intimidazioni, usura ed estorsione».
Negli ultimi anni molti sono i commercianti e gli imprenditori che si sono ribellati al pizzo e alle intimidazioni. Ma le denunce restano troppo poche e le istanze al Fondo di solidarietà sono diminuite. Probabilmente perché negli anni la criminalità organizzata ha cambiato modus operandi e perché in tanti hanno perduto la certezza che rivolgersi alle forze dell’ordine sia un dovere del cittadino ed anche l’unica via attraverso la quale riprendersi la propria vita.
«C’è da cambiare le norme, rendendole più snelle. C’è da prevedere per le vittime di usura la concessione di un “contributo” a fondo perduto con l’accompagnamento di una figura di sostegno che assista l’imprenditore nel difficile percorso del risanamento della sua attività. Ma c’è soprattutto da coltivare – conclude la relazione – “il rapporto con il territorio. Parlare con le persone, esserci per loro, testimoniare la legalità, costituirsi parte civile sono solo alcuni degli esempi».
E ad accrescere l’allarme, contribuiscono altri due fattori: lo stato dei nostri conti pubblici, peggiorato rispetto a quanto delineato dal Def di aprile scorso, con prevedibili, ulteriori flessioni del pil «che contribuiranno ad impoverire i ceti produttivi». E il blocco temporaneo delle attività giudiziarie che ha gonfiato l’arretrato e comporterà inevitabilmente «un rallentamento delle istruttorie relative alle concessioni dei benefici economici alle vittime, fondate sulle inchieste della magistratura e sui loro esiti processuali».
Secondo un’indagine di Confcommercio condotta tra le imprese del commercio e della ristorazione nei mesi di “chiusura”, un imprenditore italiano su 10 è attualmente esposto a rischio usura o a tentativi di appropriazione “anomala” dell’azienda. Il 60% delle imprese del settore hanno avuto problemi, quasi il 30% – tra burocrazia, procedure di sanificazione e altri protocolli di sicurezza – hanno visto lievitare i costi a fronte di una contrazione dei ricavi. Gli addetti ai lavori non hanno dubbi: gli aiuti a chi annaspa dovrebbero essere celeri e più accessibili. Anche perché c’é da sostenere una “concorrenza” agguerrita e sleale come quella dei clan che, forti di una smisurata liquidità, possono garantire a chi ne ha bisogno “finanziamenti” pronto cassa, spesso senza nemmeno chiedere una contropartita immediata.