Storie di donne senza paura nel primo anniversario della morte di Omowunmi Bamidele Adenusi

La storia di Eris Petty Stone o meglio Omowuni Bamidele Adenusi, vero nome a cui ha dovuto rinunciare a causa della tratta, mi è rimasta attaccata come fosse una seconda pelle. Quel 7 agosto 2019 non potrò dimenticarlo mai….era il mio onomastico….ricordo il risveglio…la felicità subito sostituita dal tam tam convulso dei messaggi che mi avvisavano di un’esplosione all’ex complesso industriale della Felandina e forse di diversi morti per uscirne fuori solo uno…ecco quindi la decisione dell’appello come presidente dell’Associazione TerreJoniche, realizzato in poco tempo…di getto: è da l’ che ha preso forma il Forum internazionale Terre di Dignità.

A seguire le voci che mi hanno perseguitate: quel che te ne frega…quelli sono zingari…sono teste di cazzo..fatti gli affari tuoi; il non ti immischiare degli ‘amici’ e poi il faccia a faccia nelle interviste con le istituzioni…gli attacchi a noi donne….

…donne sempre in prima linea ma che devono conquistarsi sempre tutto impegnandosi sempre il doppio come se debbano sempre dimostrare di essere brave e di valere di più.

Non stupisce che oggi la lotta delle donne per il diritto a essere considerate persone sia ancora una necessità.

Le donne braccianti, italiane e soprattutto straniere, sono l’ultimo gradino della nostra scala sociale. Tra la Capitanata e la Sibaritide lavorano 30.000 donne; non tutte soggette a caporalto per carità, ma ovviamente fortemente a rischio. Nel foggiano le donne braccianti guadagnano 1€ o 1.50€ l’ora (l’ultimo rapporto Agromafie e Caporalato della FLAI CGIL stima sia in media il 20% in meno dei colleghi maschi), ma le più giovani anche soltanto 50 cent.

Tra le rom bulgare, è il caporale a scegliere al mattino quali ragazze destinare ai campi e quali a rapporti sessuali forzati secondo un particolare tipo di violenza che somiglia troppo allo ius primae noctis.

Il numero delle interruzioni di gravidanza, sempre nel foggiano, è smisuratamente alto come terrificante è il numero di “orfani bianchi”, di bimbi cioè costretti a vivere lontano dalle loro madri perché queste non hanno la possibilità, né il tempo di accudirli. Sono dati che abbiamo reso noto durante le trasmissioni di Iafue Per laTerra, la prima radio che parla di agricoltura e di comunità rurali, attraverso una rubrica costituita da un collettivo di donne che si chiama Tutte giù per terra, di cui fanno parte Lucia Pompigna, protagonista del progetto Donne Braccianti contro il caporalato realizzato da Rete perlaTerra, NoCap e IAMME, Miriam Corongiu, Stefania Barca che collabora con il Centro de Estudos Sociais da Universidade de Coimbra e che sta lavorando sul reddito di cura, e io.

Lo abbiamo fatto per dare voce alle donne, soprattutto quelle la cui schiena viene spezzata dal padrone e a cui viene spenta la loro volontà, decise a rompere il silenzio, le righe, gli schemi perché è chiaro che saremo per sempre cose se non decideremo in autonomia e con consapevolezza, se non esprimeremo in prima persona quello che pensiamo riprendendoci la nostra voce e lottando per la nostra stessa sopravvivenza.

La tratta di esseri umani e quindi di donne è terza per introiti alle mafie dopo quella di armi e di droga. Anche in questo caso, quando si trafficano le persone, le mafie si combattono sottraendo loro il terreno della povertà, dell’omertà e dello sfruttamento. Noi invece ci siamo inventati che per combattere le mafie bisogna essere razzisti e girare la faccia laddove la mafia stessa non vuole che posiamo lo sguardo.

Forse costruire “un femminismo contadino e popolare” secondo la dichiarazione politica delle donne di La Via Campesina e su mattoni fondanti come consapevolezza, emancipazione, sostenibilità e agroecologia sarà la base culturale della nostra comune battaglia perché siano principalmente le donne a opporsi su ogni territorio alle troppe declinazioni dello sfruttamento della terra ma anche dei diritti negati.

Ho chiesto ieri alle istituzioni di accogliere la richiesta che viene dal Comitato Braccianti dell’ex Felandina: realizzare un centro ricreativo, uno spazio comune qui a Bernalda che ci faccia incontrare e ci integri, magari intitolato a Omowuni Bamidele Adenusi perchè credo che in fondo il ricordo vive nelle azioni e in quello che riusciamo a realizzare e solo conoscendo le culture e integrando le nostre diversità annienteremo diffidenza e pregiudizio.

So che il cambiamento lo fanno le persone e spero che ognuno di noi faccia un passo verso la libertà e l’uguaglianza dei diritti e della dignità altrimenti se gireremo la testa guardando altrove e fingendo di non sapere saremo sempre tutti colpevoli di omissione.