Di fronte al disastro del dominio agroalimentare, l’alternativa e l’alleanza sono globali o non sono.

Si è chiuso il 24 aprile 2018 la settimana di lotta contadina che Altragricoltura e LiberiAgricoltori, rispondendo all’appello internazionale di Via Campesina, hanno voluto dedicare quest’anno “a quanti nelle campagne italiane non ce l’hanno fatta per la crisi”.
Altragricoltura celebra il “17 aprile contadino” ogni anno dal 2001 quando, non ancora costituita formalmente, il suo gruppo promotore organizzato nell’Associazione Michele Mancino lanciò, insieme alla rivista “Carta dei Cantieri Sociali” ed al Comitato italiano “Amici del Movimento Sem Terra” l’appello “La terra senza Recinti”.
Fin dall’inizio ci apparve chiaro che di fronte ai processi di trasformazione mondiale che impattavano in maniera devastante con la nostra agricoltura, nessuna lettura localista ci avrebbe permesso di capire cosa stava accadendo attorno a noi e come avremmo dovuto reagire alla crisi che si annunciava. E vedemmo bene!

Erano gli anni in cui in Italia e in Europa si celebravano ancora le meravigliose fortune della globalizzazione e della liberalizzazione delle frontiere. I guru dell’agricoltura moderna pontificavano che sarebbe stata una manna per i nostri agricoltori che avrebbero tratto vantaggi incredibili dall’esportare e non dovevano avere paura delle importazioni, perché (questa era la vulgata propagandistica) “come facciamo noi l’agricoltura negli altri paesi mica lo sanno fare!”.
Demagogia da quattro soldi che sarebbe presto stata travolta dalla realtà: la nostra agricoltura è entrata in un tunnel orribile di crisi, il produrre e lavorare la terra perde valore insieme al reddito degli agricoltori e dei salari per i braccianti; il Paese diventa sempre più una piattaforma commerciale con il Made in Italy in mano alla speculazione più disinvolta. Gli agricoltori italiani sono sempre più sotto il giogo di una speculazione commerciale che, quando compra il loro prodotto, lo paga ai prezzi che lo pagherebbe comprandolo nei Paesi del Sud del Mondo dove si produce per il nostro mercato, con i capitali delle nostre banche, il controllo dei nostri speculatori, i brevetti selezionati per la nostra domanda, a costi di sfruttamento per quelle realtà e che creano dumping qui da noi.
Ora che il disastro è innegabile, chiunque rilegga i nostri scritti di venti anni fa, le nostre proposte e le nostre denunce non può che prendere atto di quanto avessimo, purtroppo, ragione.

Eppure,  nonostante gli effetti di quella crisi siano assolutamente chiari e innegabili chi ha celebrato i fasti della globalizzazione e della deregulation in agricoltura e nell’agroalimentare non ha sentito in alcun modo il bisogno di “fare autocritica”, anzi. Per Nomisma (uno degli accreditati centri studi di cui è consulente Paolo De Castro, ex ministro all’agricoltura ed attuale presidente della Commissione agricoltura del Parlamento Europeo), il fatto che negli ultimi dieci anni ha chiuso il 20% delle aziende agricole ed abbiamo perso l’8%  della forza lavoro, sarebbe un fatto positivo.

Siamo, cioè, di fronte all  dimostrazione di quale sia la posta in gioco: l’omologazione dell’Italia  al modello agroalimentare dominante che produce la crisi per chi lavora la terra, per l’ambiente e per i cittadini per consegnarlo nelle mani dei nuovi latifondisti e padroni dell’agroalimentare (i poteri finanziari e speculativi).

La chiusura delle aziende, la desertificazione del lavoro nelle campagne, la trasformazione dei nostri agricoltori in lavoratori eterodiretti, la perdita di sovranità nel rapporto al cibo, di diritti del lavoro e per i consumatori sono funzionali al fatto che i veri nuovi padroni del made in Italy possano giovarsi del controllo di una risorsa straordinaria come è il brand del cibo italiano per continuare a competere nello scenario internazionale.

Quest’anno Via Campesina chiama alla mobilitazione “Per la terra e la vita e contro l’impunità”. Si, ci vuole una grande faccia di bronzo ed una forte presunzione di impunità per negare la crisi qui da noi e ci vuole un movimento forte e globale capace di fare i conti con un modello che produce ovunque  crisi, scaricando sui territori i costi di questo vero furto di risorse e di valore aggiunto sul lavoro e il diritto al cibo. Un modello capace di usare il denaro pubblico per finanziare le esportazioni drogando i prezzi con le sovvenzioni, scrivendo leggi che gli permettono di creare dumping, di sfruttare il lavoro a basso costo nei “Paesi Poveri” e di sfruttare i poveri e il loro bisogno di cibo e lavoro nei “Paesi ricchi”.

Per questo abbiamo scelto di dedicare la nostra adesione alla settimana mondiale di lotta contadina a quanti nelle campagne italiane non ce la fanno per la crisi. Agli agricoltori che (indebitati per colpa del modello) arrivano a suicidarsi come è appena accaduto a Giovanni Viola, giovane agricoltore siciliano di 31 anni. Ai braccianti (italiani e non) che vedono nelle campagne restringere i propri diritti e i salari fino a morire per il lavoro o vivere in condizioni drammatiche sfruttati dai caporali, ai cittadini costretti a fare la spesa negli hard discount  o (se possono) a comprare a caro prezzo un cibo comunque sempre più a rischio di sicurezza alimentare.

Lo abbiamo fatto parlando alla nostra condizione in Italia ma guardando al progetto globale di cui abbiamo bisogno ed alla alleanza che ci serve per cambiare i rapporti di forza. Quel progetto e quell’alleanza o saranno globali o non saranno, perché di fronte abbiamo un avversario che lavora per i suoi interessi speculativi, un avversario globale che fonda la sua forza sulla capacità di dividere e comprare

Per questo la campagna che ogni anno conduciamo in Italia in occasione della giornata mondiale di lotta contadina del 17 aprile (e che quest’anno si è nutrita della nuova alleanza con LiberiAgricoltori con cui è in campo il processo di costruzione del nuovo Sindacato) è per noi importante e strategica.

Il 17 aprile del 1996, diciannove contadini senza terra furono massacrati in Brasile dalla polizia mentre chiedevamo la distribuzione delle terre. Quella data per il movimento contadino antiliberista di tutto il mondo è diventata il simbolo della battaglia per la Riforma Agraria. Per questo per noi è stata una settimana importante, perché la Riforma Agraria e del sistema del Cibo deve tornare ad essere centrale per questo Paese. Altro che Made in Italy, ci vogliono regole, diritti, democrazia e per ottenerli serve anche da noi riaprire il progetto e la battaglia per la Riforma della terra.

Ancora una volta dal Movimento Contadino internazionale ci viene l’indicazione e lo stimolo per il lavoro che ci attende: Globalizzare la lotta per Globalizzare la speranza perché l’altra agricoltura di cui abbiamo bisogno sarà il frutto di come sapremo allevare e lavorare la terra ma anche di come sapremo conquistare la Riforma che ci porti fuori dalla crisi imposta dal modello dominante agroalimentare della barbarie cosi come le lotte contadine negli anni ’50 seppero conquistare la Riforma Fondiaria portando il Paese fuori dal medioevo del latifondo.

Gianni Fabbris
(Altragricoltura-LiberiAgricoltori)