Sicurezza alimentare: non è un problema tecnico ma di democrazia e di modello sociale.

siaab_bufalaRicostruire un fronte di interessi comuni per difendere il territorio, la salute, il lavoro con la Sovranità Alimentare.

Nel cuore del territorio con più alta concentrazione di allevamenti bufalini, a Pastorano a due passi dall’uscita di Capua dell’autostrada del Sole, nei saloni in cui si stava consumando l’ultima giornata dell’edizione della Fiera Meditaly (la Fiera intitolata alle tecniche ed alle tecnologie per la sicurezza e rivolta al mediterraneo), sabato sera scorso 17 Maggio 2014, è andato in scena un inedito confronto fra alcuni dei soggetti che più si sono impegnati negli ultimi anni sui temi della difesa del territorio, della sicurezza alimentare e del diritto a produrre per quanto con responsabilità sociale ed ecologica.

Inedita e non scontata la composizione del confronto, come non scontata è stata la circostanza per cui unorganizzazione di rappresentanza sindacale degli artigiani (la CNA di Caserta che pure organizza alcune delle più significative esperienze produttive di trasformazione del latte bufalino) piuttosto che ritagliarsi il comodo ruolo di “prestatore di servizi” si sia cimentata con la funzione sociale vera della rappresentanza dei bisogni ed abbia voluto dedicare questa occasione alla Sicurezza Alimentare invitando a discutere altri soggetti impegnati a diverso titolo nell’affrontare i problemi del rapporto fra tutela del territorio, sicurezza alimentare, produzione, distribuzione e consumo dei prodotti agroalimentari.

Chiamati a dare vita a questo confronto il prof. Sergio Vellante (Docente di ingegneria gestionale ambiente e territorio – II Università di Napoli, esperto e ricercatore di Bioeconomia), Vincenzo D’Amore (responsabile Eccellenze Agroalimentari della ASL di Caserta portatore di esperienze, progetti e di un forte impegno a difesa della produzione della mozzarella di bufala), Pasquale Campanile (Responsabile Sanità Pubblica e Alimentare ASL – CE, l’ufficio maggiormente esposto nel tempo sui controlli sulle diverse emergenze sanitarie nel territorio come la brucellosi, la diossina, l’inquinamento delle falde, ecc.), Vincenzo Tosti (del Coordinamento della Terra dei Fuochi particolarmente impegnato a denunciare gli effetti dell’inquinamento ambientale ed a difendere il territorio), Gianni Fabbris (portavoce del Comitato per la Difesa delle TerreJoniche impegnato nelle vertenze per la bonifica ambientale, la difesa del territorio e del lavoro contadino e Coordinatore Nazionale di Altragricoltura), Ovidio Marzaioli (Vicesegretario nazionale Movimento dei Consumatori), Antonio Manes (Amministratore Unico della Netsens portatore di esperienze concrete che provano a produrre economia e impresa verde nel ciclo della sicurezza ambientale).

Ne è nato un confronto vero fra portatori di esperienze, pratiche, analisi, critiche e proposte che ha risposto alla sollecitazione di Francesco Geremia (Segretario della CNA Caserta) di usare quello spazio per “raccontare la Terra di Lavoro” scoprendo, alla fine, che oltre i singoli approcci e angoli visuali particolari, le letture dei processi e delle prospettive hanno una base comune tanto forte da lasciar prefigurare uno spazio di iniziativa che se saprà superare i singoli punti di partenza, potrebbe ricostruire una alleanza di interessi tanto forte da spostare gli equilibri sociali che vedono in questo momento vincere la speculazione e perdere i cittadini, i produttori, le comunità e l’ambiente.

Del resto, per “Raccontare la Terra di Lavoro” non si può che partire dalla lunga storia di lavoro della terra che ci ha consegnato alcuni dei prodotti più straordinari del nostro Patrimonio Agroalimentare, fra tutti e sopra tutti dalla mozzarella di bufala.

Una eccellenza nazionale, la più importante del settore caseario per dati e numeri dopo il Parmigiano Reggiano: oltre 1.900 allevamenti, 250 mila capi di bestiame, 3 mila imprenditori, 370 caseifici, 130 mila bufale in lattazione, 33 mila tonnellate di produzione annua (il 90% in Campania, il 10% nel basso Lazio e in Puglia), 300 milioni di fatturato all’anno, l’84% venduto sul mercato nazionale, il 16% sui mercati all’estero (in esplosiva espansione).

Eppure un settore che, dietro questi numeri, nasconde rischi e condizioni drammatiche. Un settore sempre più svuotato delle funzioni del lavoro degli agricoltori/allevatori e dei trasformatori artigiani e sempre più sotto il controllo dell’industria e della speculazione commerciale e finanziaria.

Un latte pagato alla stalla dall’industria sotto i costi produttivi: per remunerare i costi il prezzo alla stalla del latte di bufala dovrebbe essere sopra 1,25 Euro mentre ai più fortunati viene pagato 1,20 per una media di 1 Euro e soglie di 0,80 Centesimi. Un costo produttivo del prodotto, tenendo insieme la stalla e la trasformazione artigianale, stimato in 5,5/6 Euro esclusi i costi di confezionamento e distribuzione che viene offerto dall’industria al mercato a 6,5 Euro. Un’associazione della DOP nata come espressione di allevatori e artigiani trasformatori oggi gestita ed egemonizzata dall’industria (i dirigenti sono diretta espressione di Confindustria).

Sono solo alcuni dei numeri che descrivono il passaggio di una delle produzioni più raffinate e di qualità della storia della nostra cultura agroalimentare, indissolubilmente legata al territorio ed alle culture che la hanno espressa, dalla fase del rapporto con la terra e con il lavoro dell’azienda a quella dell’industria e della speculazione commerciale e finanziaria.

Oggi, in realtà, il rischio grande nelle campagne di Terra di Lavoro è quello di omologarsi totalmente al modello dell’agricoltura come reparto all’aperto della produzione industriale e di perdere il patrimonio delle aziende produttive bufaline per come le abbiamo conosciute nei secoli; la tendenza che già segnalano gli ultimi dati è quella della trasformazione verso forme di soccida devastanti (dove cioè chi gestisce le bufale è solo un lavoratore per conto come quelli dell’area veneta e marchigiana che ingrassano i pulcini di altri prima del macello) per quella che dovrebbe essere il vanto della nostra tradizione agroalimentare nazionale.

La fase della modernizzazione e della globalizzazione dei mercati e dei consumi che ha svuotato di valori tecnici, culture e funzione del lavoro e della produzione ha colpito in realtà in maniera pervasiva il nostro patrimonio agroalimentare esponendolo a rischi ed alimentandosi su una grande operazione di trasformazione dei consumi fino a modificarli profondamente per orientarli verso una domanda inconsapevole e condizionata ed esposta a grandi rischi di sicurezza.
Il Prof. Vellante ha descritto lucidamente la dinamica che lega la ricerca, la produzione e la speculazione commerciale quando è orientata non a garantire effettivamente qualità e sicurezza promuovendo e valorizzando il lavoro ma il business; il suo esempio di come la ricerca sia riuscita a mettere al servizio della speculazione commerciale i brevetti trasformando il pomodoro del territorio ricco di specificità e qualità organolettiche per diventare una merce priva di valore nutrizionale, coltivabile in qualsiasi terreno e condizione ambientale, fortemente dissipativo di risorse e dagli altissimi costi nella bilancia energetica ha contribuito a cogliere un quadro che va ben oltre il tema dei controlli tecnici e della repressione di fenomeni deviati.

Controlli sulla sicurezza alimentare che certo vanno ampliati e resi più efficaci ma che, come ha considerato il Dott. Campanile responsabile dei controlli di sicurezza della ASL di Caserta, vanno orientati a ricercare i rischi veri per evitare che diventino essi stessi strumenti di normalizzazione evitando di accertare responsabilità e dinamiche quando ci sono effettivamente.

Sarà per questo che la sua esperienza, che ha incrociato positivamente in questi anni gli sforzi di quanti si battono per la tutela della mozzarella di bufala, del territorio e della salute è continuamente sotto il rischio di limitazioni e pressioni. Pressioni che avrebbero del resto una facile chiave di lettura se si considerano alla luce dell’individuazione e sequestro di importanti quantità di latte e cagliata surgelati (e a volte inquinati) di cui è vietato l’uso nella produzione della Mozzarella di Bufala (che deve essere fatta da latte fresco conferito entro 16 ore dalla mungitura), pratica cui sono costantemente tentati di ricorrere i caseifici industriali anche per ricattare gli allevatori sul prezzo del latte.

Ancora il prezzo del latte come regolatore della trasparenza di una filiera che per essere sicura dal punto di vista sanitario ha bisogno di equità dal punto di vista economico: una filiera che si fonda sullo sfruttamento del lavoro non può offrire alcuna garanzia di sanità.
Illuminante è stata l’esperienza dei progetti di controllo che Enzo D’Amore ha portato ma, soprattutto, la storia del suo impegno anche di produttore e come Presidente dell’Associazione Allevatori della Provincia di Caserta quando la determinazione del prezzo del latte avveniva con un accordo interprofessionale che veniva sottoscritto dagli attori della filiera e non imposto dall’industria come accade oggi.

Un prezzo che garantisce la speculazione penalizzando il lavoro ma, anche, i consumatori finali esposti a rischi ed alla manipolazione, espropriati della consapevolezza di cosa stanno consumando.

I cittadini pagano il prezzo della insicurezza alimentare non solo quando comprano e consumano il prodotto ma, anche, quando sopportano gli effetti del suo impatto col territorio. Un modello socialmente ed economicamente scorretto non può che essere anche ecologicamente scorretto.

L’idea dell’agricoltura come reparto all’aperto della produzione industriale  e  quella dell’agricoltura senza agricoltori (perchè le materie prime del nostro made in Italy possono arrivare da qualunque altra parte del mondo costi meno produrle) non può che essere pagata pesantemente dal territori, dalla salute dei cittadini  e dall’ambiente in cui vivono le nostre comunità.

La Terra dei Fuochi è l’esempio concreto di questo rischio e di come le nostre comunità siano oggi di fronte ad un doppio rischio mortale: quello di dover pagare i prezzi in termini di salute per un uso del territorio devastante che si è fatto negli anni scorsi (scorie, depositi di immondizia, inquinamento ambientale, agricoltura industriale, ecc..) ma anche quello che, venendo meno l’agricoltura di territorio e le aziende agricole e allevatrici produttive verrebbe meno la resistenza dei cicli economici e sociali positivi che spingono e inducono alla tutela. La resistenza dei Comitati della Terra dei Fuochi è l’esempio concreto del rischio e di come questo rischio sia potuto emergere solo per il protagonismo forte dei cittadini che acquistano coscienza e si mettono in campo.

Se questa dinamica è evidente nella Terra dei Fuochi, in aree con una forte antropizzazione, l’esempio di quanto potrebbe accadere nella vicina Basilicata ci dice di come il modello devastante dell’insicurezza ambientale e della crisi economica sa approfittare di ogni condizione che usa a proprio vantaggio e  disvela tutta la gravità dei pericoli.

La Regione Basilicata (ricca per risorse idriche, forestali, agrarie) ha oggi 550.000 abitanti circa; tutti gli studi indicano che la tendenza entro i prossimi 20 anni è alla riduzione a circa la metà del numero di abitanti per diventare, dunque, un grande territorio svuotato di attività umane soprattutto per i dati sempre più grandi di abbandono delle campagne e dell’agricoltura.

Ci sarà un nesso, come denuncia il Comitato TerreJoniche, fra svuotamento del territorio e tentativo di aumento delle estrazioni petrolifere (di grande impatto sull’ambiente, la salute e dunque la sicurezza alimentare), tentativo di aumento delle discariche, di impiantare inceneritori e di un uso del suolo non legato alla produzione del cibo di qualità?

Di fronte a questo quadro, i cittadini  sono chiamati a superare la loro semplice condizione di consumatori, come ha sottolineato il rappresentante dell’Associazione dei Consumatori, per assumere la funzione fino in fondo di portatori di diritti e protagonisti nel ciclo della produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e di uso del suolo.

In fin dei conti l’esperienza dei Comitati di cittadini (TerreJoniche, Terra dei Fuochi e dei tanti altri che si stanno producendo in questi anni) è il segno di un orizzonte ormai inevitabile e di cui non possiamo più fare a meno.

Non abbiamo scelte; non è possibile lasciare le cose come stanno, proseguendo nella follia di un modello sociale ed economico che svuota la terra di attività positive per lasciarla inquinata e desertificata cercando di porre rimedio con soluzioni tecniche alla sicurezza alimentare che invece si produce dentro questa crisi indotta.

I comitati dei cittadini, le organizzazioni sociali, i presidi di democrazia, le imprese, il mondo della scienza e della tecnica sono chiamati a stare insieme, a costruire un nuovo racconto: quello che restituisce il diritto di scegliere e decidere alle comunità ed agli attori economici e sociali responsabili.

La Sicurezza Alimentare non è questione di tecnica o di repressione ma sta dentro il quadro di un passaggio in avanti fondamentale: quello verso la Sovranità Alimentare ovvero verso un contesto in cui venga restituito alle comunità ed ai cittadini il diritto di decidere sul proprio modello di produzione, distribuzione e consumo degli alimenti e di gestione del suolo e delle risorse.

Recuperare il controllo sul valore aggiunto economico, sulla salute, sull’ambiente di cui siamo espropriati è una questione intimamente legata con il grado di civiltà che sostiene le nostre comunità che, di fronte allo svuotamento di valore del cibo e dell’ambiente, hanno il compito di riempire di democrazia e contenuti sostenibili il territorio e i processi economici.

L’incontro di sabato sera a Pastorano promosso dalla CNA, ci dice che ci sono le letture comuni, le esperienze per costruire insieme un nuovo racconto. Ci siamo lasciati cosi: ci rivedremo presto nel mezzo della Terra dei Fuochi fra produttori, cittadini, comitati, associazioni, ricercatori per provare a ripartire per rispondere con i diritti all’insicurezza e alla crisi.