Quando le città inghiottono la ricchezza della terra. L’allarme


Pubblicato su Informazione Sostenibile (vedi articolo originale)

L’allarme sulle sorti del territorio italiano e dei paesaggi storici che ancora connotano l’Italia ha finalmente varcato la soglia degli addetti ai lavori.  Sul tema del contenimento del consumo di suolo ci sono stati nel recente periodo autorevoli interventi di enti di ricerca pubblici come l’Ispra (2012 – 2013) e, in generale, siamo di fronte a una diffusa presa di coscienza da parte dell’intero paese dimostrata da importanti ricerche e proposte svolte dal WWF insieme al FAI (2011 – 2013), da Legambiente, dall’Inu, da numerose facoltà universitarie, nonché da importanti associazioni ambientalistiche quali Salviamo il Paesaggio e Italia Nostra.

consumoterritorioMa per tornare agli istituti di ricerca pubblici, è da sottolineare che di recente il “Rapporto sul benessere urbano” redatto dall’Istat nel 2013 afferma nel capitolo “Il diritto alla bellezza” (pag. 195) “Mentre la tutela dei centri storici e la protezione delle aree naturali sono principi consolidati nel quadro normativo e sedimentati ormai da tempo, la salvaguardia dei paesaggi rurali non si è ancora affermata nella legislazione e neanche nell’opinione pubblica”.

E’ dunque evidente che la legislazione italiana versa, ancora, in una situazione di profondo ritardo rispetto all’attuazione del dettato costituzionale, con gravi ripercussioni sullo stato del paesaggio e del mercato edilizio. Da un lato la gravissima crisi della finanza locale sta portando ad una drastica riduzione del welfare urbano con la prospettiva di un ulteriore arretramento delle condizioni di vita delle popolazioni già colpite da sei anni di crisi economica e finanziaria. Già oggi, come noto, i comuni italiani non hanno più le risorse sufficienti per garantire l’erogazione dei servizi essenziali da cui dipende la vita quotidiana della popolazione: si chiudono servizi; si riduce l’assistenza sociale; a Napoli, caso emblematico passato troppo in fretta sotto silenzio, il 30 gennaio 2013 non si è garantito il servizio di trasporto pubblico per la mancanza di combustibile con cui far circolare gli autobus municipali.

Sul fronte del paesaggio agricolo e delle aree aperte in generale, stiamo rischiando di cancellare paesaggi storici che hanno formato il vanto della cultura italiana del territorio. A differenza degli altri paesi europei, i nostri comuni non riescono a controllare il processo di diffusione urbana e abbiamo il paesaggio agricolo più disordinato e compromesso. Peraltro, gran parte delle nuove proposte di realizzazione di grandi trasformazioni urbanistiche che connotano la vita della regioni italiane, basti pensare a Mediapolis di Ivrea o alle cinque nuove città tematiche del Veneto,  vengono localizzate in area agricola: ulteriori compromissioni di migliaia di ettari di territorio sacrificati per uno “sviluppo” speculativo, una delle cause della crisi economica che stiamo vivendo.

Il disordine insediativo e l’abbandono del territorio agricolo sono anche elemento di gravi conseguenze sullo sviluppo del paese e sulla stessa vita dei suoi abitanti. Dissesto idrogeologico, esondazioni e frane non sono infatti fenomeni “naturali”, sono invece le conseguenze della mancanza di governo del territorio. Si legge ad esempio nel “Primo rapporto Ance – Cresme sullo stato del territorio italiano (2012)” che (pag. 25): “Per avere un’idea della dimensione del problema, si pensi solo che a partire dall’inizio del secolo gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati 4.000 che hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma soprattutto hanno provocato circa 12.600 morti, dispersi o feriti  e il numero degli sfollati supera i 700 mila“.  Un costo umano ed economico che il sistema Italia non si può più permettere: la tutela del paesaggio agrario è dunque un’emergenza assoluta.

Infine, sul versante del mercato edilizio  assistiamo da cinque anni alla progressiva diminuzione dei valori immobiliari,  in particolare nelle piccole e medie città e in generale nelle aree periferiche urbane. La stragrande maggioranza delle famiglie italiane si trova così  a fare i conti non soltanto con la crisi economica e con la disoccupazione, ma per la prima volta vede il concreto rischio di una forte perdita di ricchezza a causa del crollo dei valori immobiliari in atto. I risparmi di una vita sembrano dunque messi a rischio e ciò provoca un diffuso e pericoloso senso di insicurezza sociale.

Di fronte a questi fenomeni procede senza soste il processo di ulteriore crescita delle città. Nel 2012 il Politecnico di Milano, a seguito di una specifica ricerca, evidenziava come città di grandi dimensioni come Brescia o Bergamo sulla base dei permessi di costruzione già  rilasciati, si troveranno ad avere rispettivamente 107 mila e 135 mila  alloggi vuoti inutilizzati. Una quantità edilizia insostenibile, in grado di ospitare un numero di abitanti uguale se non superiore a quello già oggi residente! Giacomo Vaciago sul Sole 24 Ore del 16 febbraio 2012 poneva invece  l’attenzione sulle enormi previsioni edificatorie  esistenti nei piani regolatori comunali  ideati e approvati negli anni in cui si era convinti di un processo di crescita infinita. Nelle mutate condizioni in cui siamo dentro una crisi economica da cui nessuno è in grado di prevedere l’esito e di fronte alla forte riduzione in atto dei valori immobiliari stiamo costruendo un imponente patrimonio immobiliare che  provocherà inevitabilmente un’ulteriore caduta dei valori delle case e per ciò stesso dei redditi della stragrande maggioranza della popolazione italiana.

Sulla base dei dati del censimento Istat 2011, a fronte di circa 25 milioni di nuclei familiari, esistono circa 29 milioni di alloggi. Questi numeri vanno maneggiati con cura, come è noto: la loro distribuzione geografica non è infatti omogenea e possono ancora esistere aree in cui sussistono segmenti di fabbisogni abitativi. Ma tutti gli analisti dei processi territoriali concordano che siamo in  presenza di un eccesso di offerta, come è evidente dall’esteso numero di alloggi invenduti e dal gigantesco processo di abbandono di manufatti per uffici o per le attività produttive. Se il numero delle abitazioni e degli edifici dismessi crescesse ancora, saremmo di fronte ad una situazione di assoluta gravità che, come nella recente esperienza spagnola, rischia di far crollare ulteriormente i valori immobiliari di gran parte delle famiglie italiane.

Fermare il consumo di suolo; cancellare le gigantesche previsioni edificatorie dei piani urbanistici comunali è in tal senso l’unica responsabile risposta per tenere unita la coesione sociale. Insistere, come fanno ancora in molti, sulla sacralità dei diritti edificatori – inesistente, come noto, nella legislazione italiana – significa soltanto privilegiare gli interessi di pochi proprietari fondiari contro gli interessi del 75% dei piccoli proprietari del proprio alloggio.

Una situazione fuori controllo provocata da venti anni di deregulation, di condoni edilizi, di demolizione delle regole pubbliche di controllo delle trasformazioni urbane. Di concetti giuridicamente  inesistenti, come i “diritti edificatori”, di strumenti di moltiplicazione del consumo di suolo come la compensazione urbanistica. Di deroghe urbanistiche e paesaggistiche ottenute con l’uso strumentale dell’accordo di programma. Se vogliamo salvare quanto   resta del paesaggio italiano,  le città e tutelare il bene casa degli italiani, dobbiamo voltare pagina e dobbiamo chiudere per sempre la fase di potenziale  ulteriore  espansione urbana. “Stop al consumo di suolo” è pertanto il principale obiettivo della legge: l’unica strada per salvare il  paesaggio agrario e le città.

Di recente (2012), per citare ancora un importante segnale –il primo in assoluto- da parte del governo nazionale, l’allora ministro per le politiche agricole Mario Catania, ha proposto un disegno di legge che tentava di porre argine al fenomeno incontrollato. Un argine debole e sotto certi aspetti inefficace, ma che poneva in modo formalmente ineccepibile la necessità di invertire il fenomeno della crescita urbana senza fine.

Nel 2013, con il rinnovo della rappresentanza parlamentare, il dibattito ha sicuramente avuto un salto di qualità e alla Camera dei Deputati sono sei le proposte di legge dei gruppi parlamentari che si cimentano con la tematica. Ad esse si è aggiunta di recente la proposta governativa che riprende in larga parte quella presentata dall’ex ministro Catania. Un occasione irripetibile si apre dunque alle forze della cultura ambientalista e urbanistica che in questi anni hanno aperto al strada per il fecondo dibattito di oggi. Un’occasione da non sprecare in favore della potentissima lobby del cemento armato che cercherà con ogni mezzo di contrastare questa positiva offensiva.

(*)Urbanista, docente e scrittore. Come ingegnere urbanista svolge attività di pianificazione e consulenza per le pubbliche amministrazioni. Fa parte del consiglio nazionale del WWF. Cura un Blog su “Il Fatto Quotidiano” online. Per le edizioni Donzelli ha pubblicato nel 2010 L’Italia fai da te, Storia dell’abusivismo edilizio e nel 2008 La città in vendita. Con altri autori ha pubblicato nel 2006 No sprawl (Alinea editore) che, insieme al movimento Stop al consumo di territorio, ha contribuito ad aprire la vertenza per fermare l’incontrollata espansione delle città.

di Paolo Berdini