Se Peppone e Don Camillo si incontrano in un orto, che almeno si parlino!

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Io, Giovanni e Rocco insieme a Marilena, Angela ed Eva (vicini di casa) abbiamo un orto dalle parti di casa nostra in Basilicata. Veramente la terra è di Giovanni, il lavoro è di Rocco e io ci metto la soddisfazione di vedere crescerlo e di godere del buon cibo che dà e la curiosità di testimoniare di che succede se Peppone (Rocco) e Don Camillo (Giovanni) si incontrano in un orto.

La cosa era nata qualche mese fa in cui mi era stato comunicato che, tutti insieme, avevamo deciso di avere un orto; Rocco (tanti anni di lavoro sindacale fra gli edili in Piemonte poi tornato, con Eva, preziossima e raffinata cuoca, a godersi la pensione e l’oliveto di famiglia che cresce con straordinario impegno e ottimi risultati), non pago decide di fare l’orto e va alla ricerca di un po’ di terra nelle vicinanze di casa. Lo chiede e lo ottiene in uso da Giovanni, compagno di cene e pranzi condivisi ogni tanto in allegria e serenità nelle case delle nostre tre famiglie.

L’orto, molto teoricamente, è condiviso ma in realtà io non ho tempo (per questo dedico a me stesso questo articolo nella rubrica “Braccia sottratte all’agricoltura” del Blog Perlaterra), Giovanni lavora come un matto con ancora meno tempo di me e, così, Rocco lo gestisce e lo lavora.

Oddio, non è proprio così: se è vero che io non ho tempo, Giovanni potrebbe dare una grossa mano visto che non è solo il proprietario della terra ma è un agricoltore da generazioni e, per dire la verità, ci ha provato ma ….. se lo facesse davvero finirebbe per litigare irrimediabilmente con Rocco, come in effetti sono stati sul punto di fare.

Per Giovanni, in effetti, lavorare quel pezzetto di terra (10 Are forse) sarebbe “come prendere un caffè” visto che possiede e lavora decine di Ettari di frutteti e di serre con impianti specializzatissimi (Kiwi, pesche, susine, albicocche, agrumi, ortive, frutta da serra, ecc..) e quando Rocco gli  ha chiesto l’uso di quel pezzetto si è messo subito a disposizione con entusiasmo pronto anche a dare una mano. E lì sono cominciati i guai.

Rocco è uno che con la terra ha un rapporto esistenziale, cura il suo uliveto e le sue piante da frutta come un giardino in una zona di storia contadina antica, dalle parti dei luoghi dove Carlo Levi (testimone del mondo del lavoro e della civiltà contadina con “Cristo si è fermato ad Eboli”) fu mandato in esilio. Qui, Rocco cresce piante e frutta sempre più difficili da trovare dalle nostre parti, ormai soppiantate da colture industriali: noci, pere e mele delle diverse varietà, fichi, melograni, cachi, uva autoctona ed ogni altro ben di Dio. Fa un olio straordinario dalle sue 1.500 piante coltivandole tutto l’anno con costanza e puntigliosità, raccogliendo le olive ed entro qualche ora portandole al frantoio dove, ogni volta, ingaggia col frantoiano una lotta furibonda per avere il lavoro “come lo vuole lui”. Finisce col vendere tutto l’olio prodotto a 11,5 Euro al litro mentre dalle nostre parti l’olio (prodotto generalmente con la logica del “tira e via”) si vende a 3,5/4 Euro. Rocco, insomma, fa l’agricoltore con passione e per scelta anche perchè si ritrova con l’oliveto ereditato dal papà contadino ed ha una pensione che, comunque, gli permette di andare avanti anche perchè con il poco olio che fa (per quanto pagato bene) non ce la farebbe.

Giovanni, anche lui figlio di agricoltori, è, invece, di quelli che hanno creduto che bisognava cambiare, smettere di fare i contadini e gli agricoltori per diventare “imprenditore agricolo” investendo capitali su idee nuove, scommettendo sulla promessa che la modernità nelle campagne avrebbe offerto straordinarie occasioni di benessere economico e sociale. E’ uno di quelli che forniscono merci ai commercianti ed alle piattaforme della GdO, prodotti e distribuiti con metodi sempre più standardizzati e industrializzati. Anche lui fa l’agricoltore in un luogo storico: a Policoro (l’antica e floridissima polìs greca di Heraclea) dove è nata la prima legislazione agraria che si conosca che disponeva regole sacre sull’uso della terra per i nuovi coloni greci. Sono passati 2.500 anni ed ora nel Metapontino si produce tantissimo con metodi spinti e industriali ma si raccolgono, soprattutto debiti. Giovanni è bravissimo a produrre in questo modo, riesce a fare prodotti per il mercato globale realizzando numeri e stock di resa straordinari …… ma senza riuscire a coprire i costi ed essendo costretto, così, a passare gran parte del suo tempo dietro le banche e le scadenze.

Ciò nonostante, Giovanni il tempo per dare una mano all’orto lo aveva trovato e, hanno quasi finito con il litigare.

Dopo qualche giorno che Rocco aveva iniziato a ripulire con grande impegno quel pezzo di terra destinato ad ospitare l’orto (mentre prima era stato usato per produrre fragole), una sera viene da me imbestialito e si sfoga davanti a un bicchiere di vino.

Le infestanti zappate e strappate con le mani, le lumachine che invadevano tutto, prese, messe in un sacco e portate in un campo incolto li vicino, la preparazione del terreno: il lavoro procedeva come Rocco voleva, fino a quando una mattina trova l’appezzamento completamente trattato con anticrittogamici che avevano “cancellato tutto”, infestanti, erba, lumachine, insetti ed ogni altra forma di vita. “Capisci?” mi dice stravolto e incazzato “Giovanni ha fatto il trattamento chimico fregandosene di come stavo procedendo io e del mio modo di lavorare! Ma se pensa di fare così, l’orto lo lascio. Mica ci possiamo mangiare quelle schifezze! Allora vado al supermercato, a che serve il nostro orto? Possibile che qui tutti abbiano dimenticato come si fa la roba buona?”.

Certo, sentir dire “il nostro orto” mi ha fatto sorridere ma mi ha fatto sentire comunque coinvolto nelle scelte di quel campo e mi sono offerto di “parlare con Giovanni” visto che Rocco era proprio incazzato fino a dirmi “dobbiamo trovare un altro posto dove fare l’orto”.

Non c’è stato bisogno: non c’ero quando si sono parlati e chiariti ma immagino la discussione. Alle rimostranze di Rocco, Giovanni avrà opposto mille ragioni. Avrà spiegato che il diserbo e la disinfestione fatti come li aveva fatti lui in 10 minuti gli avevano risparmiato giorni di lavoro e di seccature; che i tempi di decadenza delle sostanze chimiche usate erano tali per cui la traccia negli alimenti sarebbe stata quasi inesistente, ecc. ecc..

Sta di fatto che alla fine Rocco l’ha spuntata ed ora quel pezzo di terra con l’orto è “liberato” da prodotti chimici e metodi industriali con grande soddisfazione delle nostre tre famiglie, compresa quella di Giovanni.
Giovanni continua a gestire tutto il resto intorno “come deve fare uno che non ha tempo da perdere e che deve far quadrare i conti di un’azienda dai costi sempre maggiori e con un prezzo dei prodotti al campo sempre più basso” e guarda il tanto lavoro e la tanta cura che ci mette Rocco con sufficienza, pensando che comunque lui ha una pensione a casa che gli fa quadrare il bilancio; lo pensa abbozzando una smorfia  di ironia esattamente come i professionisti fanno con i dilettanti.
Certo a me fa impressione guardare l’orto contadino circondato dalle colture industriali. Mi fa impressione vedere i filari di pomodorini a grappolo tirati su con i sostegni ed i fili da Rocco maturare belli e turgidi e confrontarli con i filari poco distanti di Sammarzano piantati da Giovanni come si fa con le colture industriali ed ora tutti pieni di virosi nonostante i trattamenti e lasciati crescere a terra con una buona parte che sta marcendo.

Per non parlare dei fagiolini. Sotto le serre trattate con il metodo della nuova filosofia agricola vedo le piante crescere, tante, rigogliose, verdi, forti, senza infestanti …. ma senza fagiolini; nell’orto vedo una cinquantina di piante combattere con le infestanti, meno rigogliose ma con i fagiolini. Tanti fagiolini che ne ho già mangiato quest’anno e tanto buoni che non puoi che pensare e chiederti: che stiamo facendo?

Ci sarà un modo di produrre tenendo insieme il rispetto per la terra, i suoi tempi e i suoi cicli in maniera che non sia solo l’hobby di un testardo perditempo? Ci sarà modo di tornare a fare reddito dal lavoro agricolo garantendo cibo non solo ai pochi che hanno l’orto o che possono pagare tanto?
Se l’agricoltura come reparto all’aperto della produzione industriale ha fallito dopo che aveva promesso straordinarie occasioni di business per gli agricoltori perché in realtà produce distruzione di risorse, insicurezza alimentare, indebitamento per chi continua a farla, non è arrivato il momento di ripensare alla modernità nelle campagne ed alla funzione dell’agricoltore in modo da riempirla di valori sociali? E non dobbiamo fare in modo che produrre cibo di qualità sia la regola e non l’eccezione?
Mentre oggi, domenica, in famiglia stiamo per mangiare ancora una volta le verdure “del nostro orto” (melanzane al forno e pasta alla Norma), mi do la risposta ovvia: certo che si, a condizione di garantire il reddito a chi lavora la terra e non si ragioni solo in termini morali ed etici (pure importanti) ma di sistema. Siamo 60 milioni di abitanti che tutti i giorni devono mangiare e le aziende agricole produttive vere non superano le 400.000 (con buona pace dei numeri falsi della Coldiretti) e siamo in un mercato globale in cui il cibo italiano se e quando è associato a contenuti di sicurezza e qualità, potrebbe essere un grande valore aggiunto; non possiamo rassegnarci all’idea che la qualità e la sicurezza sia solo per chi può farsi l’orto o può pagare a caro prezzo. La Sovranità Alimentare, ovvero, insieme, il diritto a produrre per gli agricoltori e quello al cibo sicuro per tutti è la cornice dentro cui fare in modo che Giovanni e Rocco tornino a parlare la stessa lingua.

Buon appetito!