Pubblicato su Comune-info.net (vedi articolo originale)
C’è da restare “geneticamente” stupefatti. La più nota multinazionale dell’industria Ogm vince il World Food Prize, il Premio Mondiale del Cibo, una sorta di Nobel per l’alimentazione e l’agricoltura, che dovrebbe essere assegnato a soggetti eccellenti in grado di mettere a disposizione di tutti un cibo nutriente e sostenibile. Uno schiaffo sul volto dei contadini di ogni angolo del mondo e degli 870 milioni di persone che nel 2013 soffrono ancora la fame.
La Monsanto, il gigante degli organismi geneticamente modificati, ha vinto Il Premio Mondiale per l’Alimentazione. Cosa?
Concedendo questo onore all’industria dei semi biotecnologici, quest’anno il World Food Prize, – spesso considerato il Premio Nobel per l’alimentazione e l’agricoltura – oltraggia il valore del suo stesso mandato di sottolineare “l’importanza di mettere a disposizione di tutti un cibo nutriente e sostenibile”
Il Premio Mondiale per l’Alimentazione del 2013 è andato a tre alti dirigenti della multinazionale chimica, incluso il vice presidente esecutivo e responsabile del settore tecnologia della Monsanto, Robert Fraley, che controlla lo sviluppo degli organismi geneticamente modificati, gli OGM. In primo luogo, occorre ricordare che i semi OGM non sono stati concepiti per rispondere agli obiettivi del Premio e anzi funzionano in modo tale da impedire proprio dei progressi verso le finalità dichiarate del World Food Prize.
Venti anni dopo la commercializzazione dei primi semi OGM, gran parte di essi sono di due tipi: non sono progettati per ottenere maggiori capacità nutritive, ma soltanto per produrre un particolare pesticida o per resistere ad un erbicida protetto da brevetto. Ma anche se si riducono le erbe infestanti, la tecnologia si è rivelata un fallimento, in quanto ha generato una “super pianta infestante” capace di resistenza verso gli erbicidi, che si sta ora diffondendo in quasi metà delle aziende agricole americane.
Ma i semi OGM minacciano la sostenibilità anche in molti altri modi. Mentre generano dei profitti per le poche imprese che li producono, i semi geneticamente modificati potenziano un modello produttivo che minaccia la sostenibilità dei produttori senza capitali, che sostengono il 70 per cento di coloro che al mondo soffrono la fame. I semi OGM rendono permanente la loro dipendenza dai semi acquistati e dai prodotti chimici. La forma più drammatica di questa dipendenza si registra in India, dove 270 mila contadini, molti dei quali caduti nella trappola dei debiti per aver dovuto acquistare semi e prodotti chimici, si sono suicidati tra il 1995 e il 2012.
Gli OGM minacciano la sostenibilità anche perché prolungano la dipendenza dell’agricoltura dai combustibili fossili, dai minerali estratti dalla terra e dall’acqua, tutte risorse che diventeranno sempre più care man mano che aumenterà la loro scarsità.
Questo riconoscimento non soltanto comunica l’esistenza di una falsa connessione tra gli OGM e la soluzione del problema della fame e del degrado dell’agricoltura, ma serve anche a distogliere l’attenzione dai sistemi agroecologici che sono veramente “nutritivi e sostenibili” e che hanno già dimostrato di funzionare, specialmente nelle situazioni climatiche estreme. L’istituto Rodale, ad esempio, ha verificato, durante i suoi trenta anni di studi, che i metodi organici hanno superato le coltivazioni chimiche durante gli anni di siccità nella misura del 31 per cento. I metodi organici possono usare il 45 per cento in meno di energia e possono produrre il 40 per cento in meno di gas a effetto serra.
Ulteriori evidenze in tutto il mondo dimostrano come i metodi ecologici aumentano moltissimo la produttività, incrementano il contenuto di nutrienti dei raccolti, e sono benefici per la salute dei suoli e tutto ciò senza lasciare i contadini dipendenti da fattori esterni sempre più costosi. Le Nazioni Unite, attraverso il loro Ufficio del Referente Speciale per il Diritto al Cibo, hanno documentato che le potenzialità dell’agricoltura ecologica nelle aree della fame possono raddoppiarla produzione alimentare in un decennio. Sotto la presidenza del vincitore di un precedente World Food Prize, Hans Herren, il rapporto del 2008 dell’IAASTD, Valutazione Internazionale delle conoscenze agricole e della scienza e della tecnologia per lo sviluppo, elaborato da 400 esperti e firmato da 59 governi, costituisce un appello per reorientare lo sviluppo agricolo verso tali pratiche sostenibili. In tutto il mondo, l’agroecologia e la sovranità alimentare sono le soluzioni emergenti progettate e scelte da scienziati e da cittadini presenti ovunque.
E’ poi da notare che il mandato del World Food Prize è anche quello di individuare chi contribuisce a realizzare cibi “per tutte le persone”, mentre i semi OGM rendono questo obiettivo ben difficile da conseguire. Il pianeta già produce più alimenti di quanti sono necessari per soddisfare i bisogni di tutti i suoi abitanti, e oggi ne produce il 40 per cento in più di quanto non facesse nel 1970. Invece, circa lo stesso numero di persone, 870 milioni, ancora soffrono per un’estrema e lunghissima sottonutrizione, perché non hanno la possibilità e il potere di accedere ad un cibo sufficiente. Sviluppati e controllati da un pugno di imprese, i semi geneticamente modificati garantiscono l’ulteriore concentrazione dei poteri e una estrema diseguaglianza che sono alla base di questa crisi di inaccessibilità del cibo. Negli Stati Uniti sono prodotti circa il 90% della soia e l’80% di granturco e di cotone.
La scelta del World Food Prize per il 2013 costituisce un affronto per il crescente consenso internazionale sulle pratiche di coltivazione sane ed ecologiche, che, è stato scientificamente dimostrato, promuovono alimentazione e sostenibilità. Gran parte delle regioni del mondo e dei governi hanno rifiutato gli OGM e milioni di cittadini hanno manifestato contro la Monsanto. Nelle democrazie realmente operanti, smentire queste conoscenze scientifiche e così tante voci che le sostengono, è semplicemente inaccettabile.