fonte: fondazionedirittigenetici.org ( vedi articolo originale )
Per le maggiori società dell’agribusiness l’uso della terra in Africa costituisce una priorità assoluta e per molti anche la chiave per risolvere la crisi alimentare.
Secondo gli autori del rapporto pubblicato da Grain, nel 2012 le nazioni del G8 e un gruppo di imprese multinazionali hanno firmato una serie di accordi con i paesi africani affinché, in cambio di migliaia di dollari in donazioni, si impegnino a realizzare specifiche riforme politiche, tese a facilitare gli investimenti del settore privato in agricoltura.
L’accordo, noto come Quadro di Cooperazione, fa parte della Nuova Alleanza per la Sicurezza alimentare e la Nutrizione stretta con i governi di Burkina Faso, Costa d’Avorio, Etiopia, Ghana, Mozambico e Tanzania per ridurre povertà e fame. I piani di investimento prevedono che lo stato africano adotti 15 misure tese a garantire, tra l’altro, l’accesso a vaste estensioni di terra da destinare alle coltivazioni intensive – in particolare di mais, riso, soia e olio di palma – che favoriscano gli input agricoli del settore privato e quindi la vendita di fertilizzanti e pesticidi, e una nuova normativa sementiera che ponga fine alla libera distribuzione delle sementi non migliorate a favore delle varietà ibride su cui gravano i diritti di proprietà delle multinazionali.
In cambio degli investimenti, le multinazionali si impegnano ad aderire alle Linee guida volontarie per la gestione responsabile della terra, pesca e foreste, e ai Principi per l’Investimento Responsabile in Agricoltura (PRAI), sviluppati dalla Banca Mondiale nel 2009 ma rifiutati dalle organizzazioni della società civile in quanto legittimano il “land grabbing”.
I fondi del G8, quindi, invece di servire a rafforzare la sicurezza alimentare e lo sviluppo agricolo in Africa, sembra stiano estromettendo migliaia di piccoli agricoltori dalle loro terre, contribuendo alla graduale scomparsa dei mercati locali.