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ROMA – “La riabilitazione non è solo programmazione di interventi terapeutici e assistenziali ma è un progetto globale per la persona con disabilità che coinvolge diversi piani: fisico, psichico, etico e spirituale”. Con questo monito il Comitato nazionale per la Bioetica introduce un approccio personalizzato alla disabilità che ha orientato il lavoro di quanti oggi operano nel dinamico e variegato mondo dell’agricoltura sociale. Alcuni di loro, come Fabio Comunello ed Eraldo Berti, rispettivamente fondatore e coordinatore della bio fattoria sociale Conca d’Oro, hanno dedicato all’argomento il volume “Fattoria sociale. Un contesto competente di sostegno oltre la scuola” (Edizioni Erikson, 2013). Nel testo viene ampiamente descritto, a partire dall’esperienza vissuta direttamente dagli autori con ragazzi autistici, quello che oggi è considerato un esempio di innovazione sociale e produttiva che, oltre a rivitalizzare il territorio, contribuisce ad abbattere i costi della gestione dei servizi attraverso la realizzazione di programmi di inserimento lavorativo per persone con disabilità psichica.
L’agricoltura sociale appare nelle sue prime forme già a cavallo tra Ottocento e Novecento in Belgio, Francia e Inghilterra. Nel 1936 la pratica orti-colturale venne riconosciuta ufficialmente come terapia nel trattamento e nella cura della disabilità fisica e psichica. L’agricoltura sociale permette alla persona solitamente oggetto di cura di assumere il ruolo di persona capace di prendersi cura di qualcosa secondo un capovolgimento di prospettiva che consente all’operatore di osservare e valutare le diverse abilità specifiche, le competenze trasversali, le difficoltà e le modalità relazionali di ciascuno, e all’apprendista di acquisire un’identità adulta indipendente. Entrambi, operatori e apprendisti, sono parti attive di un percorso di formazione-lavoro dove la progettazione degli interventi non è realizzata a tavolino ma prosegue e si modifica in itinere, a seconda del contesto lavorativo e delle necessità di ciascuno. Spazio e tempo costituiscono in questo caso due importanti fattori di formazione: il primo inteso come “luogo antropologico”, il secondo legato alla ciclicità delle stagioni.
È importante, ribadiscono gli autori, promuovere contesti produttivi e socio-inclusivi ben radicati sul territorio che abbiano anche una forte connotazione economica, tale per cui le persone coinvolte nel progetto abbiano la consapevolezza che “tagliare, tracciare, scavare, piantare, intrecciare” non venga fatto solo perché richiesto ma in quanto funzionale a un obiettivo molto più concreto, ovvero la vendita dei prodotti coltivati. In questo modo il “fare insieme” assume l’importanza di un lavoro vero e utile per l’intera collettività, non considerato solamente come parte accessoria di una cura medica, che rafforza la convinzione, ribadita da Berti nelle riflessioni conclusive del testo, che “l’intelligenza comincia dalle mani”.