editoriale del 10.2.21 di Fabio Sebastiani*
Quasi un mese “alla ricerca delle buone pratiche”, il titolo del nostro spazio su Radio Iafue. Tante storie incontrate, tanti volti e percorsi di vita che ci hanno restituito una formidabile ricchezza di terra, e di mare. Un legame con gli elementi primordiali che finalmente non è oggetto di discussione, ma è una scelta e un impegno. Abbiamo toccato che la forza della natura rigeneratrice è innanzitutto rigenerante verso l’uomo, e verso la società.
Che sia un allevamento di suini o di capre, oppure una coltivazione di grano o di agrumi, che sia un semplice orto o un fondo dove prospera l’ulivo, il senso è sempre lo stesso: la terra è più dell’uomo perché i suoi frutti, il suo ciclo vitale, sono la sua vita stessa donata per la nostra vita. Sbaglierebbe chi ascoltando queste parole pensasse a una passione triste e romantica. Oggi quella passione è la base di una consapevole scelta etica. E’ quello che è uscito in queste tre settimane dai racconti degli agricoltori e delle agricoltrici. La nostra società le scelte etiche preferisce tenerle nei musei, ricordandosi poi di tirarle fuori quando c’è da sciorinare retoriche televisive.
In questi anni abbiamo pensato, ci si passi il termine, a divorare la terra. E quando ci rendevamo conto che non dava quello che pretendevamo abbiamo pensato bene di violentarla riducendola a una cosa, a una macchina senza vita. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Ascoltando le storie delle buone pratiche si assorbe una bellezza che va oltre le parole stesse. E deve essere così, perché la terra non parla attraverso le parole ma attraverso segni precisi che hanno a che vedere con la storia antica del mondo. Sta a noi decifrarli se vogliamo davvero evitare il disastro climatico.
Buone pratiche vuol dire che la terra ci dà ancora una possibilità, rimette l’ultima scelta nelle nostre mani. Si affida alla nostra responsabilità. Ci dà ancora la possibilità di capire. Ed è grazie a questi sacerdoti della rigenerazione che noi divoratori di vita possiamo ancora fare qualcosa per salvarci. Dobbiamo soltanto prendere consapevolezza del fatto che ogni nostro comportamento, anche il più insignificante, sarà determinante per il futuro. Dobbiamo passare dall’idea della libertà come atto privato, di cui spesso non sappiamo cosa farcene perché non abbiamo un progetto, sequestrati come siamo dallo sfruttamento a un’idea di atto pubblico e collettivo. Questo sì che è rigenerante. E’ rigenerante tutto quello che cambia i termini di un problema aprendo nuove prospettive, nuove soluzioni nel segno della continuità della vita.
Fino ad oggi la cultura del profitto non solo ci ha illuso che ognuno di noi potesse diventare un piccolo Paperon de’ paperoni, ma non ha fatto altro che spostare i problemi nel futuro. Così lo ha resto sterile, perché privo di speranze e denso di pesi da portare.
Ma questo è stato possibile non per qualche strano sortilegio, bensì solo perché è la legge del profitto a tutti i costi non ammette smagliature. E quindi ben venga tutto quello che spostando le soluzioni non fa altro che permettere, a pochi, di arraffare subito quel che c’è da arraffare. Le buone pratiche di queste settimane ci hanno insegnato che il cannibalismo e lo sfruttamento dell’uomo su l’uomo ora stanno portando all’aggressione sistematica contro ogni essere vivente, piante comprese.
Da questo vortice si può uscire solo con un fermo macchina. E il fatto che questo invito a pensare bene a cosa si sta facendo arrivi proprio dal mondo dell’agricoltura è un segnale ben preciso. Le buone pratiche ci dicono che la natura può servire l’uomo e i suoi bisogni primari solo se la si rispetti. E la rigenerazione è la prima buona pratica del rispetto. L’agrindustria, dimenticando la semplice teoria del seme, ovvero che non si può fare razzia di tutto, che qualcosa deve essere lasciato poerché la natura riprenda la sua maestosa organicità, di fatto è diventata un agri-mostro: la fine della biodiversità e l’aumento spaventoso delle emissioni che strozzano la biosfera rappresentano colpi mortali al processo di rigenerazione. Anche considerando il totale asservimento della natura andrebbe ricordato a questi signori che da un servo morto non c’è verso di farsi cucinare nemmeno un uovo sodo.
Le buone pratiche ci parlano di uomini e donne che hanno scoperto l’importanza di fare il loro lavoro con amore e dedizione, ed è da questo che la rigenerazione che nasce in loro viene ritrasmessa alla collettività. L’agricoltura rigenerante delle buone pratiche è da subito una esperienza di comunità perché il cibo, in quanto atto d’amore per antonomasia, fonda una relazione. E proprio perché la costruire è in grado di seminare comunità. Il minimo comune denominatore delle storie di buone pratiche presentate in queste settimane a Radio Iafue è che il cibo è il miglior linguaggio per parlare della propria buona fede; cosa che non si può fare, se ci pensate bene, con il semplice linguaggio. Il cibo è, in sostanza, una parola che si mangia. E’ solo così che sono in grado di valutare una persona che mi offre del cibo.
Non si fa politica con le buone pratiche perché molto più semplicemente si dice la verità, o meglio: non si può dire la menzogna.
Nel percorso di Radio Iafue le buone pratiche acquisteranno un valore sempre più grande esattamente per il motivo a cui abbiamo accennato: non hanno bisogno di essere raccontate. Non hanno bisogno di qualcuno che le parli sopra. Parlano e si raccontano da sole. Valgono per quel che si vede e per quello che trasmettono, non hanno declinazioni e punteggiature. Occorre solo mettersi sulla stessa lunghezza d’onda.
Diffondere le buone pratiche è una grande opportunità. Una opportunità per l’intera società. E radio Iafue ce la metterà tutta per fare bene il suo ruolo. Costruiremo insieme una rete diffusa che avrà come moneta di scambio la fiducia. E sarà quindi uno scambio equo, senza profitti per pochi e spoliazioni per molti. Anche se agiremo on-line non vuol dire che saremo virtuali, anzi. L’obiettivo è far incontrare le persone e le storie. Insomma,, lasciare libero corso a quella rigenerazione che davvero può salvarci dal disastro ambientale.
*Fabio Sebastiani è il direttore i Iafue PerlaTerra