a cura di Fabio Sebastiani*
Ha ragione lo storico Adriano Prosperi a dipingere gli italiani come smemorati criticando l’oblio in cui viviamo, quanti dimenticano il passato non sono capaci di guardare al futuro e mistificano perfino gli eventi del presente.
Senza sforzi di immaginazione sarebbe sufficiente scorrere i giornali degli ultimi anni o fare capolino, con una debita cernita delle notizie, sui social per ricordarci della Grecia e del ruolo ricoperto da Mario Draghi nello smantellamento di quella che un tempo definivamo industria pubblica.
L’incarico di formare il nuovo Governo a Mario Draghi segna una rottura con gli ultimi anni di storia e politica italiana, sul banco degli imputati sono la quota 100 e le deroghe alla Legge Fornero in materia previdenziale, le causali (poi sospese dal covid) imposte ai contratti a tempo determinato e ogni critica alle politiche di austerità.
Giurati nemici dell’Euro come l’economista Bagnai (parlamentare della Lega) sono pronti a votare la fiducia a Draghi, la ritrovata euforia dei mercati azionari è la notizia che meglio fotografa i giorni successivi alla caduta del Conte 2.
Il passato Esecutivo, sia ben chiaro, ha grandissime responsabilità e le sue mancate scelte sono da addebitare ai partiti che lo hanno sostenuto, al pasticciaccio sui piani pandemici, all’ignavia con la quale si sono mossi nei mesi scorsi senza alcuna volontà di rovesciare le politiche neoliberiste in materia di sanità, istruzione, welfare e lavoro.
Per capire meglio la situazione sarebbe sufficiente guardare ai mercati, ai titoli azionari di Piazza Affari nella settimana appena conclusa, il capitale finanziario è entusiasta davanti al nuovo Governo che segna il ritorno alla normalità neoliberista tanto desiderata.
E non è detto che questa normalità si concretizzi nella ricetta dei Chicago Boys ma assumerà decisioni radicalmente diverse dal Governo Conte 2 a partire dalla riscrittura del Recovery e da politiche in materia di pensioni all’insegna del progressivo innalzamento dell’età pensionabile con forti decurtazioni a chi dovesse anticipare l’uscita dal lavoro.
Siamo davanti all’avvento di una nuova tecnocrazia, dai Governi tecnici a quelli di emergenza nazionale per restituire centralità agli interessi delle imprese e della finanza come dimostrato dai titoli azionari delle Banche in rapida ascesa.
Ma l’avvento di Draghi segna anche la sconfitta definitiva della politica rispetto alle ragioni dell’economia capitalista.
Restituire speranza a un Paese incupito, con il supporto del democristiano Mattarella, o forza al partito unico della finanza e del capitale?
Il Governo Draghi ha riportato pace nel litigioso parlamento italiano e riceverà voti tanto da destra quanto a sinistra e probabilmente anche dagli stessi Grillini che ne usciranno a pezzi, delegittimati agli occhi degli elettori che avevano riposto fiducia in loro.
Le riforme annunciate, a partire dalla riscrittura, scontata, del Recovery, andranno verso il sostegno di politiche attive, i licenziamenti collettivi non saranno ulteriormente rinviati come per mesi richiesto dalle associazioni datoriali.
E la responsabilità della perdita di tanti posti di lavoro ricadrà su quanti avranno votato il Governo Draghi, a destra e a sinistra indistintamente.
Già si annuncia la riduzione delle sedi Inps, rivedranno radicalmente il reddito di cittadinanza e gli ammortizzatori sociali , torneranno i licenziamenti collettivi.
A muovere il Governo Draghi è quel convitato di pietra formato da capitale e finanza che davanti ai 32 miliardi di scostamento del debito (nuovo deficit) ha deciso di staccare la spina al passato esecutivo mandando avanti le mosche cocchiere del capitale.
Ecco spiegata in poche parole la crisi del Conte 2 e l’avvento del Banchiere Draghi: il ritorno alle politiche di contenimento del debito nel nome del quale potranno massacrare lavoratori e classi subalterne.
*Fabio Sebastiani, direttore di Iafue PerlaTerra