editoriale del 16.12.20 di Gianni Fabbris
L’invito che ho ricevuto di partecipare oggi pomeriggio (16 dicembre 2020) ad un webinar dal titolo “Agroecologia. Perché conviene?” mi dà l’occasione per porre una questione su cui dovremo aprire una riflessione. Al quesito “Perché conviene l’agroecologia?” risponderò nel webinar risolvendo, per ora, con l’indicazione che ci viene dall’aver scelto la via della Sovranità Alimentare per uscire dalla crisi: non solo ci conviene ma è la base su cui far valere il diritto dei popoli a determinare le proprie scelte in materia di produzione, distribuzione e consumo del cibo. Aggiungendo appena un’altra battuta, possiamo dire che quando l’agroecologia non è semplivemente un “metodo o una tecnica produttiva” ma l’insieme dei fattori che reinseriscono l’attività di cura della terra e del mare in un ciclo socialmente condiviso e fondato sui diritti, allora è il piano su cui riconnettere le attività economiche con i ritmi e i tempi di una natura che non è semplicemente merce ma il luogo in cui esprimiamo comunità e rimattiamo in moto processi economici positivi.
Qui, invece, vorrei riflettere sul come far valere il “diritto/dovere” ad una via agroecologica per uscire dalla crisi e, l’occasione mi viene dalla natura del soggetto che mi ha invitato a confrontarmi nel webinar: Attiva Sicilia è un movimento di giovani presente nelle iniziative sociali del territorio ma, anche, impegnato “nelle istituzioni” essendo costituito con alcuni suoi rappresentanti eletti nell’Assemblea Regionale Siciliana.
Attiva Sicilia si sta battendo in sede istituzionale perché venga adottata una legge regionale che, per brevità, può essere definita “Una via agroecologica per l’agricoltura siciliana”.
Un disegno di legge che, essendo espressione di un confronto ed un dibattito in cui hanno partecipato e partecipano diverse realtà sociali impegnate a praticare e ricercare vie alternative al modello industrialista dell’agroalimentare, si nutre di visioni, prospettive e proposte di grande novità rispetto alla liturgia del dibattito istituzionale che, dietro la vecchia e stantìa ideologia parole della “competitività” e del “Made in Italy” (o Made in Sicily che si voglia), nasconde interessi e culture che impongono la crisi in cui siamo.
Il titolo apparentemente “tecnico e neutrale” del progetto in discussione (“Azioni a difesa della salute, dell’ecosistema della biodiversità e della qualità dei prodotti agricoli siciliani”), in realtà declina un linguaggio nuovo per obiettivi fin qui mai assunti dalle istituzioni: la definizione funzionale al riconoscimento del loro valore e specificità per le “Aiende Agroecologiche” per esempio.
La sola idea di disegnarne la specificità richiama direttamente gli strumenti per tutelarle, orientarle, promuoverle e sostenerle provando, anche qui, a usare categorie e proposte che vengono dalle “pratiche di resilienza” in cui gli umini e le donne che hanno lavorato la terra in nome di scelte “etiche” hanno sviluppato concretamente.
Lavorare a disegnare il profilo della “Azienda agroecologica” è operazione importante perché ridefinisce un campo di contenuti e, forse, ci offre anche la possibilità di affrontare l’esistente con parole e strumenti nuovi. Pensate, per esempio, al dibattito che ancora vede in Italia differenziare e dividere il mondo rurale fra chi si sente e si considera “contadino o pastore” e chi si percepisce come “agricoltore, imprenditore e allevatore”. Vecchia questione che non trova sintesi proprio perché rileva categorie e schemi legati a realtà che si stanno trasformando e di cui non sempre riescono ad esprimere la trasformazione. In fondo il tema è come fare impresa (con gli strumenti moderni che il nostro tempo ci consegnano) con la responsabilità sociale, tecnica e “sentimentale” che ci viene dall’antico mestiere dei contadini.
L’azienda agroecologica può essere il punto su cui si incontrano quel tanto di modernità che ci consegna il vivere nel nostro tempo e quel tanto di sapienza che ci viene da un rapporto con la terra fatto di un legame consapevole.
Ma la proposta di legge va oltre e, come si conviene, non guarda solo a tutelare gli interessi di chi la scelta agroecologica la compie ora (secondo il classico sistema degli interessi corporativi), bensì propone un quadro di iniziative, di norme, di incentivi e disincentivi, di tutele capaci di guardare agli interessi più generali: una normativa che incide nella pratica di importare materie prime e beni prodotti altrove con metodi e tecniche da noi illegali (quindi i controlli alle importazioni ed al loro contenuto), orme e regole che puntano a mettere nei fatti “fuori legge” le pratiche agrochimiche pericolose.
Certo bisognerà discuterà e ancora approfondire su come una scelta agroecologica comprenda dentro di se anche i diritti sociali (al lavoro, all’accoglienza, alla cultura, ai servizi, er esempio) ma è un buon punto di partenza la proposta che ci vene da Attiva Sicilia.
Una proposta che va colta per la sua capacità di ricercare le risposte ai problemi posti dalle tante resistenze e pratiche positive o dalle tante denunce di quelle negative e della crisi e che prova a dare proprio a queste pratiche il quadro dentro cui poter esprimersi coerentemente e in modo riconosciuto oltre il solo volontarismo.
Una proposta che va sostenuta, alimentata ed estesa anche altrove in nome del processo in marcia verso la Sovranità Alimentare.
Se la Sovranità Alimentare è il diritto dei popoli di determinare il proprio modello di produzione, distribuzione e consumo del cibo e gestione del territorio e dei servizi, allora serve la consapevolezza di tutti nel mettere in campo pratiche coerenti ma serve, anche, riscrivere le regole e le leggi sottraendole dal dominio delle lobbies della crisi.