editoriale del 1° dicembre 2020 di Fabio Sebastiani*
Quando si aggredisce un territorio in realtà si attacca l’identità delle comunità, di cui il cibo è parte integrante. Non sapremmo spiegarlo meglio il legame, che sta venendo fuori in modo sempre più evidente, tra agribusiness e neocolonialismo. Non sapremmo dire con parole più oneste e precise cosa sta accadendo in questa epoca di passaggio in cui i poteri forti, da una parte, e una politica incapace, dall’altro, stanno minando in modo “soft” i riferimenti fondamentali del vivere civile, a partire dalla salute, a partire dalla quotidianità della nostra esistenza, quella che un tempo si sarebbe definita scelta personale indisponibile alla sfera pubblica, all’ambito istituzionale. Perché lo fanno? Per il profitto. E per l’impossibilità di cambiare rotta in una fase di forte crisi economica.
In questi giorni c’è stata la ricorrenza della lotta di Scanzano. Una comunità intera che per 2 settimane si è opposta al tentativo di trasformare l’area vitale di residenza in una discarica nucleare. Una comunità che ha finalmente riconosciuto le proprie radici comuni. E ancora, la lotta, sempre in Basilicata, contro l’altra pandemia chimica, il petrolio, che non solo sta avvelenando migliaia di ettari di territorio incontaminato, ma che ha determinato un drastico esodo della popolazione e completamente tradito le promesse della cosiddetta scalata sociale. La novità è che questo non viene più definito ambientalismo. Non ci stiamo più al giochino di lor signori di farci recintare in facili definizioni di minorità politica e moda culturale. Questa è una sacrosanta battaglia contro il vostro neocolonialismo. Un colonialismo che si appropria dei corpi delle persone, del loro lavoro, della salute, del tempo, della cultura, del loro passato. Completamente, senza tralasciare nulla. Perché tutto deve diventare funzionale al profitto: anche l’aria che respiriamo. No ci stiamo più al ricatto di chi impone una libertà contrattata e sul piatto della bilancia nasconde, dall’altra parte, il sequestro della libertà individuale a costruire davvero il proprio futuro in comunità con gli altri.
E tutto questo facendo passare l’operazione come il nuovo modello di sviluppo come il domani oltre la pandemia. Non è più ambientalismo, il nostro, ma qualcosa di più profondo. Una presa di coscienza collettiva, che va anche al di là dei confini delle varie comunità, come sta dimostrando la battaglia dei No-Tav, e in nome di una umanità possibile e profondamente rispettosa dei diritti di base, individua con certezza assoluta chi sono i nemici e cosa esattamente va combattuto. Non più proclami generici ma una solida piattaforma di lotta.
Il forum di ieri sera ha parlato di questo. E di come chi parla di difesa dell’ambiente può fare la stessa lotta dei gruppi di fruitori che sostengono l’agricoltura dagli spazi urbani, di come chi vuole impedire il martirio di un territorio da parte di una non meglio precisata cosiddetta grande opera fa la stessa lotta della Terra dei fuochi. Di come chi si batte contro l’uso neo-colonialista che si sta facendo della Xylella è sulla stessa linea di chi costruisce esperienze di agricoltura alternativa nei terreni sequestrati alla criminalità organizzata, di chi si batte contro il grano al glifosato sbarcato nei porti italiani e spacciato come grano italiano. Quante menzogne!
E dentro ci sono anche i cosiddetti cittadini, stanchi del ricatto del cibo spazzatura e della realtà alienante dei centri commerciali, stanchi di trovarsi reclusi da un lockdown e da una sanità fantasma che di fatto li sta costringendo a un vero e proprio esodo di massa, a pagare di tasca propria conseguenze di scelte fatte dai poteri forti, a cambiare le loro abitudini, a stravolgere le loro relazioni affettive. Questa è una sanità della malattia programmata. E’ una sanità che vede nella salute una ulteriore occasione di sfruttamento. La salute è evidentemente scollegata da altre questioni critiche come le disuguaglianze, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la protezione sociale e la crescita economica. E allora che salute è, se non un permanente sequestro neo-coloniale delle nostre vite?
Non sappiamo se possiamo definire tutto questo comunità resistenti. Resistenza è una parola nobile. Sicuramente fa parte del nostro bagaglio. Possiamo dire che la gente è stufa. Ha capito il giochino. E non ci sta più. Sta cominciando il duro sentiero della consapevolezza.
Ecco perché parole e definizioni come diritti dei contadini, cibo dei diritti, lotta al patriarcato, sanità per tutti, diventano tutte chiavi di uno stesso ragionamento. Lo stiamo toccando con mano proprio in queste settimane. E la giornata del 10 dicembre in cui tutto questo percorso si tradurrà in un confronto di tutti i soggetti che hanno partecipato dal proprio punto di vista all’elaborazione e alle analisi preliminari sarà un punto di arrivo e nello stesso tempo un punto di partenza.
Da qualche mese sta accadendo qualcosa di nuovo sotto i nostri occhi. Il potere si sta dimostrando debole proprio sul punto più vitale, quello di riuscire a contenere la società civile dentro dei minimi livelli di convivenza. Sta saltando il plafond della sicurezza sociale. Altro che sicurezza delle frontiere. Il virus ha davvero tolto ogni velleità e ogni maschera al potere conservatore dei propri privilegi e, tutto sommato, egoistico. I cittadini hanno capito che se fanno da soli è meglio. Hanno capito che la rete, la comunità sono i soli e unici presupposti per l’esercizio della democrazia e dell’autodeterminazione. La solidarietà non è più un valore ma una necessità. Può essere certamente un ottimo pretesto per costruire quella che abbiamo definito l’autonomia della rappresentanza. E questo semplicemente perché non aspettiamo la politica per costruire la nostra piattaforma. Partiamo dai fatti, dai nostri bisogni, dalla necessità di costruirci un futuro, visto che il potere, le istituzioni, la politica non sono più in grado di farlo. E quando ci provano non sanno far altro che produrre oppressione e attacco ai diritti. Non sanno far altro che servire gli interessi economici di chi conta veramente. Avete sentito qualcuno che vi sia venuto a chiedere come intendete spendere le risorse del Recovery fund? No, per niente. Ancora una volta quelle opportunità sono “cosa loro”. Ancora una volta a decidere realmente sono i soliti.
E’ per tutti questi motivi che ripartire dagli agricoltori e dai contadini ha un valore strategico. L’agricoltura si tiene stretta la definizione di attività primaria. Lo è oggi ancora di più, dal punto di vista dei beni di prima necessità. E lo è perché ripropone quel meccanismo di rigenerazione, e quindi di futuro, che nessuno è più in grado di mettere in campo. Lo è, infine, perché è in grado di rimettere insieme un messaggio armonico che concede agli uomini e alle donne la possibilità di tornare a parlarsi e a sperimentare obiettivi e orizzonti comuni. Dal forum di ieri sera è uscito questo. L’obiettivo condiviso di fare della giornata del dieci dicembre una vera giornata di lotta, ma anche di predisporre un libro bianco di inchiesta sulla società dei veleni, delle menzogne, della sanità della morte, della speculazione sui nostri corpi. E’ uscita la volontà di costruire una rete in grado di costruire senso e identità, opposizione e solidarietà.
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*Fabio Sebastiani è giornalista – direttore di Iafue PerlaTerra