editoriale del 23 giugno 2021 di Roberto Rubino*
Il biodinamico continua a tenere banco nonostante il ruolo marginale che ha in agricoltura. Con tutti i problemi che il settore ha e con la nuova PAC in preparazione, si perde tempo e si alza il tiro chiamando in causa persino la Scienza come se ci trovassimo di fronte ad un pericolo epocale. In questi ultimi giorni c’è un fuoco di fila contro Carlin Petrini, colpevole di aver messo in dubbio la scienza e di aver difeso il biodinamico. Il tutto soprattutto dalle pagine del Fatto quotidiano, giornale che difende oltre l’evidenza i 5 Stelle famosi per il loro approccio molto scientifico alle questioni politiche (no vax). Gli articoli sono stati scritti da illustri scienziati che, peraltro, poco hanno a che fare con l’agricoltura, ma quello che più mi ha sorpreso è che tutti parlano in nome della scienza rimproverando, a chi si azzarda a difendere il biodinamico, di essere antiscientifici. La loro tesi è: visto che non c’è niente di scientifico nel biodinamico, questo non deve avere alcun supporto pubblico. Quindi solo i sistemi che hanno una base scientifica hanno diritto a incentivi e finanziamenti.
E allora, lasciamo da parte quello che non è scienza, il biodinamico e, forse, anche il biologico e proviamo a ragionare sulla scienza.
Ma chi decide che cosa è scienza e cosa non è? E poi, la prima regola della scienza non è il dubbio? Può uno scienziato, ancorché famoso, alzarsi e puntare il dito affermando che lui sa cos’è scientifico e cosa no? La storia è piena di esempi sugli errori della scienza, per tutti Galilei.
Ma veniamo ai nostri giorni. I giornali, fra cui il Fatto, hanno ripreso un articolo-inchiesta di Altroconsumo (n. 358, maggio .2021) sulla pasta titolando, più o meno: la migliore pasta è quella di Libera Terra, seguita da quella di Esselunga. Ora, Altroconsumo non è un giornaletto qualsiasi, è invece molto seguito dai consumatori attenti ed è un punto di riferimento per i produttori. Cosa ha fatto Altroconsumo? Ha messo a confronto16 paste utilizzando come parametri: biologico, grani di origine italiana, etichetta, sostenibilità della confezione, trattamento termico, micotossine, pesticidi, tenuta di cottura, assaggio. Naturalmente ognuno è libero di scegliere i parametri che crede, ma da consumatore mi aspetto che al primo posto ci siano due parametri importanti: il valore nutrizionale e il flavour, inteso come aroma e gusto. E poi, diamo per scontato che tutte rispettino le leggi sull’uso di pesticidi a diserbanti. Invece del valore nutrizionale non se ne parla e del flavour si dice:” …le nostre paste non hanno acceso gli entusiasmi. Nelle prove di assaggio gli chef non ne hanno bocciata nessuna, ma solo tre sono promosse a pieni voti: Libera Terra, Sgambaro e La Molisana. Quali siano i parametri utilizzati per l’assaggio non è dato sapere e comunque il punteggio ottenuto non è molto servito a Sgambaro e La Molisana, che si sono classificati dopo la Esselunga perché, appunto, l’assaggio è solo uno dei10 parametri scelti da Altroconsumo. C’è qualcosa di scientifico in tutto questo? Niente, non lo è il biologico (almeno a sentire questi scienziati), non lo è l’origine italiana, la sostenibilità, l’etichetta, lo stesso trattamento termico (è vero che incide, ma in fondo le differenze sono minime rispetto a quelle che ci potrebbero fra grani diversi), le micotossine e i pesticidi non interessano perché sono tutti nei termini di legge, la tenuta di cottura è il paradigma dell’anti-scienza. Eppure, è tutto condiviso dalla scienza, finora nessuno si è alzato a contestare questi metodi. Un classico è l’origine del grano: tutti la chiedono, nessuno la smentisce e noi dovremmo credere alla favoletta del genius loci. Quindi, un giornale famoso e accreditato, fa un elenco di merito basandosi sulla scienza disponibile e che non ci porta da alcuna parte, ne sappiamo meno di prima e acquistiamo prodotti il cui livello qualitativo è casuale. Il pane e la pasta hanno un aroma e un gusto? Se sì, quali sono le molecole e i composti implicati? E, soprattutto, quali fattori li determinano? E se non lo sappiamo, come non lo sappiamo, va da sé che il tutto avviene all’insaputa dei produttori e dei consumatori, oltre che degli scienziati. Quindi, un settore strategico per l’agroalimentare italiano, ma potremmo tranquillamente parlare anche degli altri, ad eccezione del vino e dell’olio, accreditato e scientificamente supportato, usa parametri per il racconto che hanno poco a che fare con la scienza e che portano fuori strada il consumatore. Se facessimo un assaggio serio, per esempio soffermandoci sull’intensità e la variabilità dell’aroma e sulla persistenza del gusto e se a questo associassimo analisi chimiche non solo dei volatili ma anche della componente fenolica, allora sì che potremmo disporre di una valutazione oggettiva e scientifica del valore nutrizionale e edonistico delle paste. Ma la scienza ufficiale non lo sa, non c’è arrivata e però permette all’agricoltura e all’industria di usare questo non sapere per fare cultura.
Ultimo ma non meno importante è il prezzo unico delle materie prime, che viene deciso dalla borsa merci. La scienza ci dice che il legame delle materie prime con il territorio è molto stretto ma il prezzo è unico a livello mondiale. Allora, chi bara, la scienza o i produttori? Un solo esempio. Sappiamo che la differenza fra un latte di un sistema intensivo e quello di un sistema estensivo, al pascolo su prati polifiti, può essere anche di venti volte. Ma il prezzo del latte è lo stesso. Un obbrobrio!
Quindi, parliamo di problemi e di soluzioni per favore e non di esoterismo.
*Roberto Rubino è presidente dell’ANFSOC (Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo)
Professore, a Suo parere il prodotto dell’agricoltura biodinamica è da ritenersi buono “per” o “nonostante” l’uso del cornoletame e amenità similari? Forse il problema sta tutto qui. Quanto a Galileo, ho capito male io o Lei lo accosta al “contadino biodinamico”, assegnando pertanto alllo “scienziato ufficiale scettico” il ruolo dell’Inquisitore?