editoriale del 10.06.2021 a cura dell’Avv. Antonio Salvatore La Rosa
La crisi occupazionale degli ultimi anni ha provocato una iniziale inversione di tendenza di quello che era il dato, ritenuto irreversibile, relativo alla fuga in generale, e dei giovani in particolare, dalle nostre campagne e dalla attività agricola.
Da qualche anno invece accade che giovani e laureati, una volta terminati gli studi scelgono di ritornare alla terra, per inseguire il proprio sogno imprenditoriale, sfidando mille difficoltà, soprattutto burocratiche, ma anche ambientali, in contesti nei quali è da sempre stato difficile farsi spazio.
Leggevo che i “contadini per passione”, ovvero ben 30.000 ragazzi che nel 2016/2017 hanno presentato in Italia domanda per l’insediamento in agricoltura dei Piani di sviluppo rurale (Psr) dell’Unione Europea, e di questi il 61% concentrato al Sud e nelle Isole, e il 19% al Centro e il resto al Nord.
Sullo sfondo c’è una percezione sociale dell’agricoltura profondamente cambiata, perché se fino a poco tempo fa il lavoro del contadino era visto come un mestiere duro e poco gratificante, adesso la prospettiva sembra essersi ribaltata, e molti più giovani studiano e si preparano per diventare coltivatori, lontano da stress e ritmi frenetici.
Si è pure invertito il concetto di lavoro in agricoltura, un tempo ritenuto il lavoro per chi non fosse adeguato agli studi ed alle attività ritenute socialmente superiori: per il lavoro del contadino c’era una bassissima considerazione sociale, ed anche politica, non a caso Karl Marx non li prendeva in considerazione come categoria rivoluzionaria, tanto da prevedere lui una rivoluzione socialista in Inghilterra, epoca di piena rivoluzione industriale, e non in Paesi poco industrializzati e profondamente agricoli, come invece sarebbe successo.
Da un po’ di tempo a questa parte, invece, un numero sempre crescente di ragazzi sceglie di dedicarsi alla terra, o di non abbandonarla, diversamente da quanto accadeva nel recente passato.
Ne consegue che adesso l’agricoltura rappresenta per queste persone una scelta e non una condizione da cui fuggire. Una motivazione che si traduce anche in scelte imprenditoriali diverse, che puntano più alla qualità che alla quantità della produzione.
Un approccio coraggioso che le Istituzioni politiche, sia a livello nazionale che europeo, non sembrano però, nonostante tutto, ancora pronte a premiare.
Qualcosa di nuovo sembra intravedersi, a partire dagli investimenti pubblici, qualche regione più coraggiosa di altre ha ripreso ad investire fortemente nel settore.
Va anche ricordato che, al momento del suo insediamento, quale ministro del precedente governo Conte Bis, Teresa Bellanova, già sindacalista impegnata da decenni in difesa dei diritti dei braccianti agricoli e contro la piaga del caporalato, quali sarebbero state le priorità sul tavolo del neo ministro, che infatti, ebbe immediatamente a dichiarare l’intenzione di investire sulle filiere, “per migliorare i rapporti tra agricoltori e trasformatori, vera chiave del made in Italy, soprattutto nel Mezzogiorno”.
E intima “battaglia aperta al caporalato”, con le norme da lei volute.
La stessa Bellanova a più ripresa ha sostenuto che i giovani sono il futuro dell’agricoltura.
Ma tra gli obiettivi essenziali per potenziare “un settore cruciale come l’agricoltura”, il neoministro si rivolge prima di tutto ai giovani, con un appello chiaro alle nuove generazioni, che dovranno essere interlocutori privilegiati dei tavoli di lavoro: “Ho sempre sostenuto la necessità di un’agricoltura finalmente attrattiva per le nuove generazioni e in questa direzione intendo spendermi. A disposizione c’è uno spazio enorme. Agricoltura di qualità significa futuro, imprese, posti di lavoro, rigenerazione del paesaggio, tutela ambientale, innovazione, valorizzazione delle identità e tipicità, servizi di eccellenza: uno dei più importanti biglietti da visita del nostro Made in Italy. Una grande occasione per le nuove generazioni. Soprattutto, ma non solo, quelle del Mezzogiorno”. E continua assumendo un impegno concreto: “Dobbiamo scrivere regole che diano futuro al lavoro di migliaia di giovani che stanno investendo la loro vita nelle nostre campagne”. Parole che fanno ben sperare su un futuro di opportunità (e soddisfazioni) crescenti per le numerose giovani imprese agricole che già operano sul territorio nazionale di un Paese che proprio grazie a giovani preparati sembra aver ritrovato la voglia di credere nella sua consolidata identità rurale.
Oggi la Bellanova non è ministro, ma le grandi linee sono state tracciate, spetta all’attuale governo proseguirle e agli enti locali sviluppare strumenti nel territorio, per rilanciare questo fondamentale settore della nostra economia.
- *Avvocato penalista.
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