Editoriale del 29 dicembre 2020 di Gianni Fabbris*
Da tempo andiamo denunciando come nell’impatto con la globalizzazione neoliberista il sistema produttivo agricolo italiano esce trasformato profondamente mentre l’Italia si converte da grande civiltà di lavoro della terra e nel mare a piattaforma commerciale speculativa.
L’agroalimentare diventa il campo su cui si gioca la competizione e rende l’agricoltura una sua funzione marginale, il “made in Italy” diventa uno straordinario strumento ideologico per giustificare le operazioni di speculazione finanziaria e la corsa alla privatizzazione del patrimonio ed all’accaparramento dei suoi saperi e della sua storia, la sua difesa contro i nemici esterni (i terribili banditi della banda dei falsificatori del parmesan) sono il moderno tappeto sotto cui nascondere la spazzatura di sempre: quella dei lobbisti nostrani sempre pronti a giocare con i denari degli altri (soldi e risorse pubbliche) garantiti dagli intrallazzi con il potere.
Il dossier, formalmente “anonimo” che circola da quest’estate denunciando i pericoli derivanti dall’accordo fra Bonifiche Ferraresi, il CAI srl e la Coldiretti sembra voler gettare un sasso di questo stagno maleodorante con la presunzione di svelare al mondo la “verità nascosta”. A giudicare dalla reazione dei protagonisti chiamati in causa si sta trasformando in un classico “buco nell’acqua”.
La Coldiretti e Federico Vecchioni (ex dirigente di Confagricoltura e attuale dirigente di Bonifiche Ferraresi) minacciando querele sostengono, con una alzata di spalle: “vecchie storie già note e pubbliche”, contando, evidentemente, sulla circostanza che il tappeto che “protegge” i fatti è fin troppo spesso.
Del resto, hanno ben ragione di dirlo, probabilmente: cosa altro c’è da dire che non sia pubblicamente conosciuto sulle strategie che legano l’intreccio di interessi comuni fra un “sindacato di rappresentanza di agricoltori”, imprese e cordate di interessi che avrebbero dovuto rimanere “separati” e distinti?
Da tempo, inascoltate, più voci, noi convintamente fra queste, denunciano come il sindacato che fu maggioritario fra gli agricoltori si è convertito in un luogo della rappresentanza di altri interessi: quelli che oggi sono il vero uogo di governo dell’agroalimentare italiano.
E’ molto tempo che i “sindacati degli agricoltori” storici (non nel senso di antichi ma di sovrastrutture che ci vengono da un passato morto) hanno accettato la sconfitta degli agricoltori italiani di fronte ai processi di svuotamento e di liberalizzazione del capitalismo globale del nostro tempo.
Quelli che una volta furono sindacati degli agricoltori sono, oggi, il segno di quella sconfitta e della vittoria della speculazione finanziaria e commerciale che ha messo le mani sul nostro patrimonio di lavoro che sono i veri padroni (i nuovi latifondisti) della nostra agricoltura.
E, allora, persa la guerra, tanto vale accordarsi col nemico vittorioso offrendogli servizi e benefit, mettendosi “in affari” e proponendosi come i garanti di una pace e di una legittimazione sociale utile a “governare” i processi della modernità. Naturalmente per farlo serve la “legittimazione politica e sociale” e allora lo sventolio di bandiere gialle e la melassa propagandistica valgono bene l’investimento di tanti denari in pubblicità, denari, in gran parte, garantiti dal pozzo di San Patrizio delle risorse pubbliche.
Un furto? No. Hanno ragione la Coldiretti e Federico Vecchioni: tutto sotto la luce del sole, tutto pubblico, tutto noto.
Ci vuole un dossier anonimo per raccontare gli accordi fra BF SpA e SIS SpA, la società sementiera controllata da BF SpA e con soci alcuni Consorzi Agrari? Non è trasparente e pubblico il disegno di Coldiretti, di cui fanno parte BF SpA, CAI Srl e SIS SpA e la strategia che mette in campo UeCoop, Campagna Amica e Filiera Italia in un quadro che punta a costituire un polo monopolista sul mercato?
Se nemmeno l’ingresso in campo di CdP (la Banca controllata dal Ministero delle finanze) nella cordata che punta a far diventare CAI (I consorzi agrari d’Italia) il nuovo luogo della prestazione dei servizi dentro il processo di costituzione di una holding che controlla il mercato dell’agroalimentare italiano, desta non dico scandalo ma almeno interrogativi fra la politica e in parlamento, allora quale dossier anonimo può illudersi di sollevare il tappeto?
Qualcuno ricorderà lo scandalo di Federconsorzi con cui si apri e si chiuse la vera stagione di Tangentopoli; lo hanno scritto le commissioni di inchiesta e i tribunali e, dunque, lo scriviamo senza timore di denunce (ove mai ne avessimo avuto paura): “la Coldiretti e la Confagricoltura 40 anni fa si resero responsabili con la loro gestione di un crack con un buco di migliaia di miliardi di ammanchi possibile grazie al fatto che le banche del tempo diedero tanti soldi senza garanzie reali ma in nome di “garanzie politiche”.
Quando i banchieri furono chiamati a spiegare dissero “che pensavano che la Federconsorzi” fosse un Ente Pubblico garantito dalla Stato e non quel soggetto privato che in realtà era”.
Questo accadeva 40 anni fa e la storia, pur ripetendosi” non è mai uguale a se stessa. Allora il progetto di costituire un grande polo dei servizi e della assistenza aveva persino una sua logica coerente con il quadro europeo e nazionale che perseguiva la “concentrazione” come strategia di sistema ma, oggi, va direttamente in conflitto con gli interessi, le tendenze e gli orientamenti in campo.
Un osservatore attento come Corrado Giacomini (economista agrario – membro del Comitato di Indirizzo del Corriere Ortofrutticolo) se lo ha chiesto lucidamente in un suo recente intervento: come si sposa questo processo di holding e SPA con la strategia europea di promuovere le OP e le OI nel quadro di un sostegno dal basso dei processi di aggregazione della piccola e media agricoltura?
La mia risposta? Non si sposa, anzi, è un tappo sulle possibili dinamiche che liberano risorse e un ostacolo a rendere disponibili le pur contraddittorie misure di sostegno europee per i processi partecipati.
I primi segnali già sono evidenti: è di qualche mese fa la multa dell’antitrust proprio a SIS e Bonifiche Ferraresi per la speculazione che li ha portati a imporre il trust sul Grano Cappelli.
Di cosa altro ha bisogno la politica per interrogarsi? E quanto ci metteranno gli agricoltori per capire come sottrarsi dal ricatto di cui già sanno?
*Gianni Fabbris è componente del direttivo nazionale di Altragricoltura e della presidenza nazionale di LiberiAgricoltori