editoriale del 12.11.20 di Fabio Sebastiani*
Quanto deliberato dal Parlamento europeo nel tentativo di dare corpo a un suo punto di vista sulla Politica agricola comune rischia di costituire di fatto una grave battuta d’arresto nel processo di rinnovamento del settore primario e, soprattutto, nel processo di convergenza verso la lotta contro il climate change che, almeno stando alle indicazioni della Commissione europea, dovrà rappresentare un obiettivo imprescindibile dell’Europa del futuro. La rotta di collisione con gli ambientalisti è totale. Tutti i settori dell’ambientalismo, anche quelli più compatibilisti, si sono espressi contro l’orientamento del Parlamento europeo.
Secondo le valutazioni degli addetti ai lavori, tra cui l’ex ministro Paolo De Castro la siamo in presenza di una vera e propria circumnavigazione che di fatto allontanerà la politica agricola europea dallo stato reale del settore. Tra un vertice e l’altro, serviranno almeno altri due anni per arrivare a un testo di una qualche cogenza.
Il fattore tempo assume indubbiamente un rilievo particolare. Innanzitutto perché il climate change non aspetta i tempi della politica. E poi perché, come andrebbe ricordato a lor signori, alla crisi già attiva dal 2008 si sta sommando il buio orizzonte del lockdown. Le imprese agricole chiudono. La rovina e l’abbandono dei terreni è sotto gli occhi di tutti. Non crederete davvero che basta distribuire qualche sostegno al reddito per frenare la desertificazione. Evidentemente qualcuno sta facendo calcoli orrendi sulla pelle degli agricoltori. Per questo qualcuno le potenzialità produttive e la qualità dell’agricoltura italiana vanno ancora ridotte a beneficio di un modello basato sull’importazione a basso costo.
Sembra profilarsi ancora una volta la vittoria della chimica, e dell’agricoltura con altri quozienti di emissioni. Siamo alle solite. Alla faccia della svolta. In un precario gioco di equilibrismi e falsi obiettivi il testo del parlamento europeo riesce a passare anche per quello che non è, ovvero rispetto degli eco-schemi e della condizionalità sociale. Non è così, ovviamente. I testi parlano di una adesione volontaria. Maschere di facciata che presto cadranno una ad una. Così come non prende decisioni importanti su possibili modelli alternativi, sicuramente più convincenti sotto il profilo ambientale. Come quello dell’agricoltura mediterranea.
Con una Pac che valorizzasse l’agricoltura mediterranea e, quindi, l’occupazione e la crescita, l’Italia avrebbe ricevuto ben più dei circa 2,5-2,7 miliardi di euro mediamente ricevuti ogni anno per veicolare politiche di mercato. Come non bastasse, per il periodo 2021-2027 l’Italia ha visto una decurtazione del 6,9% dei fondi Pac complessivi destinati al nostro Paese, nelle varie forme di cui i sussidi alle aziende sono una sola parte. Poco più di 36 miliardi di euro per sette anni i fondi assegnati, contro i 62,3 miliardi della Francia, i 43 della Spagna i 41 della Germania. Sono indicatori di scelte che penalizzano la nostra agricoltura mediterranea a favore di altre economie agrarie di altri Paesi.
La scomparsa di migliaia di aziende agricole ogni anno, l’invecchiamento della popolazione agricola, la desertificazione delle aree rurali, l’intensificazione dei modelli di produzione e il conseguente deterioramento della qualità del cibo e l’impatto negativo sull’ambiente, tra molti altri problemi questi sono i veri nodi da affrontare. E invece si parla astrattamente di performance, ben sapendo che allo stato degli atti il settore è letteralmente piegato in due dallo sfruttamento e dalla ricorsa della concorrenzialità al ribasso.
Sono tante le domande che rimangono inevase.
La PAC 2021/2027 sarà in grado di incrementare la produttività dell’agricoltura? sviluppare il progresso tecnico, assicurare lo sviluppo razionale della produzione agricola migliorando i fattori di produzione per rassicurare tenori di vita equo agli agricoltori e un miglioramento del reddito individuale di coloro che lavorano in agricoltura, senza entrare in netto ed evidente conflitto con l’ambiente?
Ora la parola passa ai governi. E per l’agricoltura c’è ben poco da sperare se non incamminarsi sulla strada dell’unità e di una rivendicazione stringente. Non ci sono alternative. Questa volta davvero l’alternativa è tra la vita e la morte delle aziende agricole. La politica, e ancora di più le istituzioni, già con il Recovery fund stanno dimostrando di non capire lo spessore del dibattito.
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- * Fabio Sebastiani è giornalista professionista e direttore di Iafue PerlaTerra