Parlare di zoonosi oggi, non essendo né un veterinario né un epidemiologo bensì un semplice giornalista, peraltro non scientifico, può sembrare un compito arduo. Accettare questa sfida significa che c’è molto da fare – questo dovrebbe essere evidente a tutti – sul piano sociale, della divulgazione e dei comportamenti.
In questi primi mesi di pandemia – cha da una zoonosi dipende – siamo stati bersagliati da informazioni spesso parziali, a volte non corrette o in contraddizione tra di loro, come se negli organi d’informazione l’occasione di trattare un argomento fosse stata gestita più come la necessità di riempire uno spazio in un palinsesto o in una pagina che come l’esigenza di divulgare, approfondire e chiarire.
Delegare all’esperto di turno la facoltà di dire qualsiasi cosa, senza poter gestire, mediare, definire preventivamente alcuni contenuti, e senza un coordinamento generale, è un limite dei media con cui verosimilmente dovremo imparare a convivere. Dopotutto la questione è complessa, non si tratta di sapere se una cosa è bianca o nera ma di cogliere dalle varie prospettive le diverse tonalità di grigio, per formare una propria coscienza e adeguare i nostri comportamenti.
In questo senso la seconda ondata di contagi da Covid-19 – che, lo ricordiamo, è una zoonosi – ci fa capire che qualcosa è stato sbagliato un po’ da tutti, e che in questo, ciascuno di noi dovrebbe trarre spunto per correggere e migliorare i propri personali comportamenti nell’interagire con i propri simili, ma anche – e chiariremo poi il perché – nel relazionarsi non solo con i propri simili ma anche con gli animali, siano essi domestici o meno. Perché è nei comportamenti, sociali e collettivi (partecipare o meno ad una festa e in quali modalità) e non solo nella gestione della cosa pubblica (incrementare il numero degli autobus nelle ore di punta) che la pandemia si espande o si ritrae. Tutto ciò, lo sappiamo, sinché un vaccino non sarà pronto.
Personalmente, come cronista del settore delle produzioni animali, c’è qualcosa in più che mi sento di dover dire, per arrivare a parlare più compiutamente di zoonosi. Innanzitutto che la conoscenza del mondo in cui viviamo non è mai abbastanza, secondo poi, che ci si dovrebbe impegnare maggiormente oggi, con dei piani formativi sociali adeguati – offerti in primo luogo dalle istituzioni scolastiche, ma anche nelle famiglie – che permettano ad un numero crescente di persone di sapere domani qualcosa in più rispetto al poco che oggi sanno in materia di sanità, salute e alimentazione. Tematiche su cui però purtroppo si ha la sensazione che il mondo della politica sia più vicino alle ragioni delle lobby che a quelle dei cittadini, e questo non solo in Italia.
Percepire che la gran parte della gente non sappia cosa sia una listeria, una salmonella o la rabbia, è questione che dovrebbe far riflettere di più e meglio ognuno di noi ma ancor più chi, governandoci, ha in mano le sorti di questo Paese e, in senso più ampio dell’umanità.
Demandare ogni compito – tutto e sempre – alla politica, all’amministrazione pubblica, a chi governa le nostre vite non è proprio purtroppo di un consesso sociale evoluto. Propendere verso la conoscenza dovrebbe essere – per chi più, per chi meno – un’attitudine naturale del singolo, se non vivessimo in una società che molto ha fatto, soprattutto nel secondo dopoguerra, per eludere stimoli, anestetizzare coscienze, tarpare le ali alla cultura e al pensiero per proiettarci disumanamente verso il mondo dei consumi.
Coscienti di ciò non dobbiamo però perdere di vista che investire nella conoscenza, quindi nell’educazione, oltre che nella prevenzione, ci porterebbe a spendere molto ma molto meno – mi riferisco ai costi sociali, che dovrebbero interessare tutti – di quanto si stia facendo per curare malati e organizzare strutture sanitarie che verosimilmente verranno in parte smantellate con l’arrivo del vaccino. Per non parlare delle vite umane colpevolmente sacrificate per carenze ed errori di tanti, e di troppi.
Venendo al punto, sperare di sentirci rispondere dalla gente, oggi, cosa sia una zoonosi, a parte rare eccezioni, è un esercizio illusorio. Utilizzare questo spazio che mi viene concesso per porre questa domanda è una forzatura che mi sento di fare, anzi di dover fare, perché – al di là del poter stimolare una conoscenza nei singoli – ho l’occasione di lanciare ai divulgatori in ascolto (e molti di voi, pensateci, lo sono) l’invito ad occuparsene, in ogni spazio possibile e disponibile che ciascuno avrà.
Cosa sono quindi le zoonosi? Le zoonosi sono malattie più o meno gravi che interessano sia l’uomo che gli animali, e che possono essere trasmesse dall’animale all’uomo ma anche dall’uomo all’animale. Gli agenti patogeni sono batteri, virus e parassiti che penetrano nell’organismo in genere attraverso l’ingestione di cibi contaminati ma anche per via aerea o attraverso lesioni epiteliali o morsi di animale: rischi questi ultimi a cui sono più esposte figure professionali come i veterinari, gli stallieri, gli operatori dei mattatoi e altri.
Tra i suddetti lavoratori, le zoonosi più note sono la brucellosi, la rabbia e la scabbia, mentre le affezioni che possono scaturire dall’alimentazione portano i nomi, tanto per farne alcuni, di epatite, escherichia coli, listeria, salmonella e altre ancora.
In molti casi queste patologie possono colpire l’uomo risultando asintomatiche, in altre conclamarsi in maniera virulenta, essere più o meno palesi – anche in ragione delle difese immunitarie del soggetto – e, nei casi più seri, risultare letali. Se da un canto i casi di zoonosi professionali ammontano a poche migliaia all’anno, dall’altro le persone colpite attraverso l’assunzione di cibi o acqua contaminati è molto elevato, superando in Europa i 26mila casi al mese, verosimilmente molti di più, non essendo tracciati tutti i casi per vari motivi: per casi asintomatici, per diagnosi sbagliate, per sintomi trascurati in quanto lievi, etc.
Per proteggere i propri cittadini l’Unione Europea ha messo a punto vari strumenti, che includono una rete di presidi tecnico-sanitari dotati di mezzi e procedure atte a monitorare i casi, individuare i focolai, rimuovere le cause, allertare le comunità interessate, per ridurre l’incidenza delle zoonosi sulla salute dei singoli e, più complessivamente, sulla sanità pubblica.
Ha fatto inoltre sì che si creassero delle valide documentazioni, di ampia fruibilità, e delle azioni tese ad informare la popolazione, attraverso enti preposti come l’Efsa – che altro non è che l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare – i ministeri della salute e altri ancora.
Le azioni di contrasto del fenomeno comprendono anche un attento monitoraggio della filiera agroalimentare, operato in genere attraverso le Asl. Un monitoraggio che consente di intervenire sull’animale, sulla sua alimentazione, sulle materie prime (latte, carne), sulla loro trasformazione e gestione.
Dal punto di vista dei fruitori del cibo – preciso che a me non piace parlare di consumatori perché sul cibo è bene ragionare con la propria testa, sapere e decidere – essi / i fruitori, appunto / hanno in mano un potere che troppo spesso viene trascurato: quello di scegliere cosa mangiare, di orientare i propri acquisti, di premiare le aziende che operano nel rispetto degli animali, che non forzano la natura, che non esasperano i cicli produttivi e che facendo questo si cautèlano riducendo al massimo i rischi.
Qualcuno obietterà che quel cibo è troppo costoso: la mia contro-obiezione è che quando si parla di cibo bisogna abituarsi a considerare non il prezzo come valore assoluto ma il suo rapporto prezzo/qualità. E che, partendo dal presupposto che un terzo almeno delle malattie serie, anche mortali, in primo luogo il cancro derivano dall’alimentazione, sarà bene che i nostri soldi li si investa più volentieri per del buon cibo sano ed ecosostenibile piuttosto che conservarli per spenderli domani in medicine e cure.
Nutrirsi di prodotti rispettosi dell’ambiente e degli animali è una pre-condizione per stare bene in salute, per mantenere alte le difese immunitarie, per assicurare all’ambiente un numero sempre maggiore di agricoltori e allevatori che non agiscono come dei predoni, per ottenere la massima resa lasciando il danno all’ambiente e il conto da pagare alle generazioni future. Bensì a quegli imprenditori che sanno far quadrare i loro conti e mantenere in piedi le loro economie rispettando la terra, l’acqua, l’aria e gli animali di cui si circondano. Bisogna quindi ragionare e operare tutti insieme, agricoltori, lavoratori della terra, fruitori del cibo, uniti, nel solco dei valori che la Sovranità Alimentare ci indica, per assicurarci i diritti fondamentali che ci debbono essere garantiti: il diritto alla terra, il diritto al lavoro e il diritto ad un cibo sano, etico ed ecosostenibile.