tratto da Bonculture (leggi articolo originale)
In un contesto attuale di svilimento degli ecosistemi dovuto all’impatto dei cambiamenti climatici e a tutta una serie di ripercussioni annesse (e a breve senza argini ragionati perciò sempre più conseguenziali) in agricoltura e non, come recessioni economiche, scarsità d’acqua, sicurezza sociale, danni economici e rischi per le città costiere e loro infrastrutture, turbolenze sempre più frequenti dovute ai vari fenomeni migratori che si avvicenderanno di conseguenza, risuonano quasi come un balsamo equiparatore da terzo millennio le considerazioni di Carlo Petrini fondatore di Slow Food rilasciate il 14 Aprile scorso nella trasmissione naturalistica di Raitre Geo
Parole e considerazioni, in un momento topico e gravemente sospeso per l’Italia ed il Pianeta, rivolte alla riscoperta e alla riattualizzazione della componente umana rivolta alle relazioni fondate sui beni comuni, quelli che storicamente avallano dalla solidarietà e del saper fare, in connubio quindi con una solidarietà affettiva del rapportarsi e del produrre, proficuamente e sulla basa della piccola media economia (sempre maggiormente sostenibile) e non per forza devota al profitto.
In ambito di Biodiversità, il grande tema della devastazione dell’uomo sulla natura, ci porta ad un dato incentrato sull’acceleramento nefasto contemporaneo di annientamento con un rapporto da cento a mille volte superiore su specie ed ambienti naturali che popolano la biosfera. Questo se si pensa che una specie mediamente nella storia della terra vive o ha vissuto un milione di anni, oggi rispetto ad un totale delle specie conosciute di circa 1,8 milioni, si registrano 50 specie viventi che scompaiono ogni giorno. In un mondo globalizzato dunque (e anti retoricamente diremmo, che da un trentennio e oltre non solo a portata di click), sempre più fondamentali diventano informazione e trasparenza, dove nonostante più recentemente la pressione dei consumatori si faccia sentire in merito a scelte più oculate d’acquisto, resta pur sempre dominante il Land Grabbing delle grandi multinazionali del cibo che dettano l’agenda per ossequio a garantire in priorità i dividendi agli azionisti, a scapito di ambiente e di paesi meno sviluppati. Per ciò che attiene lo Stivale ( che annovera tra le sue file il colosso consolidato della Ferrero con un fatturato riferito all’export di circa 9,5 miliardi di euro), la produzione relativa al 2017 si attestava sui 134 miliardi di euro (+1,5 sul 2016) con esportazioni pari al 31,6 miliardi (+5 sul 2016), con un incremento sull’export che dal 2000 ad oggi registra un +144%.
In una tempesta “d’inflazione” legata al fenomeno produzione, trasformazione e consumo del cibo, lo status quo degenerato ed alterato in “normale equilibrio” prodotto da causa ed effetto, tra disponibilità in calce e reale bisogno al consumo (ma anche vedi vulnerabilità economica delle aziende con effetti sugli andamenti di mercato circa domanda/offerta, disponibilità di riserve ecc.), i dati di spreco allacciati alla relativa filiera del mondo occidentalizzato (Europa Nord America Oceania) rispetto a quello di realtà del “terzo mondo” sintetizza un macabro rapporto di uno a due, se si pensa che circa un terzo del cibo mondiale che si produce (222 milioni di tonnellate su 1,3 miliardi di tonnellate totali) finisce in spazzatura. L’equivalente quasi di tutta la produzione del cibo nell’Africa subsahariana (230 mil. di tonnellate). Va detto che tra zone ricche e povere del mondo lo spreco assume fenomeni indicizzati differenti, dato che in aree sottosviluppate si annoverano problemi maggiormente nella prima parte della filiera per inadeguatezza di una agricoltura priva di infrastrutture che attuino una giusta lavorazione, conservazione e trasporto. Dati Eurostat confermano una percentuale del 56% di spreco al consumo totale (42% a livello domestico, 16% ristorazione, 5% rete di vendita), con una quantità di 35 mil. di tonnellate in fase di produzione e 38 mil. di tonnellate in fase di consumo, che diventano 70 Kg e 76 Kg pro capite per ogni cittadino della Ue (considerando anche che i terreni agricoli, i boschi e le foreste coprono all’incirca il 90 % proprio della superficie dell’UE) . Mentre da un rapporto svedese della Fao, si nota che a livello pro capite lo spreco totale di cibo in un anno sempre tra Europa Nord America e Oceania si attesta sui 280-300 Kg, a fronte di un consumo (complessivo) pro capite di 900 Kg annui. Nell’Africa Subsahariana, nell’Asia meridionale e nel Sud Est Asiatico invece, lo spreco pro capite annuale ci rapporta a un dato tra i 120 Kg ei 170 Kg, a fronte di un consumo pro capite (totale) di 460 Kg. La quota di spreco pro capite a consumatore esclusa la fase insita della produzione di riferimento suddetta, è pari a 95 -115 Kg annui in Occidente, mentre per le aree meno sviluppate si hanno solo 6-11 Kg di spreco.
(Biodiversità) e Agricoltura
Sempre in tema di Biodiversità alimentare e coltivazioni agricole, sempre secondo un rapporto Fao, si denuncia la drastica riduzione della diversità delle coltivazioni in agricoltura, un sempre crescente numero di razze animali è a rischio estinzione (vedi aumenti capogiro di stock ittici sovra sfruttati). Il 75% delle varietà vegetali per alimentazione umana è perso. Oggi il 60% di alimentazione mondiale si basa su tre cereali: grano, riso e mais e spesso di una sola varietà e non sulle migliaia selezionate un tempo in Oriente ad esempio per ciò che attiene il riso, o il mais in Messico. Senza dimenticare non a margine di questo, condizioni più che probanti a tal scapito, le conseguenze negative derivare dall’aumento nella distribuzione e nell’intensità di attuali parassiti, malattie, ed erbe infestanti, causati da temperature e umidità più elevate.
(Biodiversità) e Ambiente
Anche l’economia cosiddetta circolare, che tratteggia il rifiuto come parte integrante della catena di produzione e consumo delle merci, con annesso il riciclo, con i suoi pro e contro, tra miglioramento ed efficientamento di gestione, in Italia rimarca purtroppo ancora un notevole flusso di quantità di rifiuti prodotti (44 mil. di tonnellate su 175 mil. di tonnellate) che viaggiano su gomma per più di 800 Km (+17% rispetto al 2012) ed un kilometraggio totale complessivo annuo di 1,2 miliardi di Km. A fronte di solo un quarto della quantità predetta che verso l’estero si muove su rotaie.
Oltre la metà del quantitativo rifiuti totale trasportato è costituito da scarti di costruzione e demolizioni e derivanti del trattamento di altri rifiuti. Quelli pericolosi sono il 5% che salgono però al 26% se si considerano quelli trasportati all’estero, che non superano i 9 mil. di tonnellate su 184
mil. di tonnellate che restano in Italia. Un + 7% dunque registrato da uno studio di movimentazione rifiuti di EcoCerved (società analisi e studi Union Camere) paragonando dati e flussi incidenti del 2016 rispetto al 2012. Tuttavia anche la gestione dell’allungamento della filiera tra macro aree e non, è sempre più crescente, vedi il 32% che opera nel misto (stoccaggio più trattamento) a fronte di un 8% che fa solo stoccaggio, per difficoltà ad ottenere autorizzazioni. Ma si pensi anche al 60% dei vecchi pneumatici che a fronte di una assenza di un decreto end of waste, viene bruciato prevalentemente nei cementifici per produrre energia, rispetto a un 40% avviato al recupero che sebbene attesti un + 6% (sul 2017 rispetto al 2016) di raccolta di fuori uso, presenta un – 9% del suo riciclo.
(WWF Italia)
Secondo Eva Alessi, responsabile consumi sostenibili wwf Italia, ogni minuto nel mediterraneo finiscono 33 mila bottiglie. Circa cento milioni di tonnellate ed un terzo del totale dei rifiuti plastici prodotti, finiscono ogni anno in natura, contaminando persino i luoghi più remoti del pianeta. Almeno 700 sono le specie animali vittime della plastica in mare. Di questo passo – continua – nel 2050 in mare ci sarà più plastica che pesce.