tratto da Avvenire (leggi articolo originale)
La proposta è stata lanciata nei giorni scorsi dal fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi. «In Italia ci sono 600mila immigrati irregolari che vivono ai margini e possono alimentare focolai di infezione. Occorre regolarizzarli prevedendo permessi di soggiorno temporanei: dobbiamo farlo per garantire la salute di tutti e la tenuta sociale del Paese».
Ma a che punto è il dibattito a livello parlamentare? Le reazioni non sono mancate. «Dobbiamo combattere lo sfruttamento di chi è costretto a lavorare per paghe da fame e vive in condizioni precarissime – ha sottolineato ieri la ministra per le Politiche agricole, Teresa Bellanova –. Quando parlo di regolarizzare queste persone, parlo di combattere il lavoro nero, di tutelare tutte quelle imprese che scelgono, e sono la maggior parte, la legalità, di garantire concorrenza leale, di assicurare diritti e dignità. È una sfida di civiltà, giustizia sociale, buona economia che ci interroga tutti. Io non mi tiro
indietro » ha detto. Una regolarizzazione, secondo la senatrice Laura Garavini, vicepresidente vicaria del gruppo Italia Viva-Psi, «non sarebbe solo un atto etico, ma una vera e propria esigenza del nostro tessuto produttivo. Finché non metteremo queste persone nella condizione di legalità, le mafie avranno sempre un margine di azione ».
Favorevole a una uscita dal sommerso di migliaia di persone è anche il mondo del sindacato. «Continuiamo a sostenere quanto proposto già l’anno scorso: una regolarizzazione che contribuisca a far emergere il lavoro nero, a riconoscere diritti e doveri ai tanti immigrati lasciati ai margini della società, specialmente dopo i decreti sicurezza» ha spiegato il segretario generale della Fai Cisl, Onofrio Rota. In campo anche le associazioni. In una nota diffusa nei giorni scorsi, la segreteria nazionale delle Acli Colf, Giamaica Puntillo, ha chiesto che «il governo intervenga nei confronti dei lavoratori irregolari, per lo più stranieri, del settore domestico. Serve un’apposita sanatoria che permetta a tutti gli irregolari di poter accedere ai servizi sanitari, soprattutto in questa fase delicata dovuta all’effetto Covid-19». Così in una nota In gioco c’è il ruolo di persone considerate fondamentali per il settore agricolo e per i servizi alla persona. Non si tratta tanto di una «sanatoria» ma di «regolarizzazione necessaria perchè il lavoro è una questione decisiva per l’uscita del Paese dalla crisi – ha ricordato Riccardi –. La metà di queste 600 mila persone sono donne provenienti dall’Est Europa o dal Sudamerica che lavorano come colf, badanti e baby sitter. L’altra metà sono uomini africani, indiani o del Bangladesh: una buona parte di essi presta servizio nelle campagne. Vivono in abitazioni precarie o in grandi concentrazioni, non hanno diritti e fanno la fame»
Per ripartire senza ingiustizie non chiamiamola sanatoria, ma regolarizzazione. In queste settimane di pandemia, associazioni ed enti cattolici – con la presa di posizione di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio – e laici sono tornati a chiedere una regolarizzazione dei migranti senza permesso non solo per motivi umanitari, ma anche per ragioni di sanità pubblica. Le stesse che porteranno il Cnel, il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro, a discutere ed eventualmente a proporre al governo il prossimo 22 aprile la regolarizzazione in questo frangente straordinario. Una disponibilità era stata dichiarata dal ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, il 15 gennaio scorso in risposta a un’interrogazione del deputato Riccardo Magi di +Europa. Lamorgese aveva affermato che l’esecutivo intendeva «valutare un provvedimento straordinario di regolarizzazione degli irregolari già presenti in Italia a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro». In gioco c’è anche la possibilità di valorizzare uno strumento come il decreto flussi da tempo ridimensionato. La settimana scorsa la ministra dell’Agricoltura Teresa Bellanova ha lanciato un appello per regolarizzare i braccianti per fronteggiare il deficit di manodopera agricola e scongiurare la crisi del settore.
«Il vero problema – nota don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes – è non lasciare nessuno indietro. Anche a seguito dei decreti sicurezza abbiamo circa 600mila cittadini stranieri non regolarmente soggiornanti destinati allo sfruttamento, al lavoro nero e alla precarietà. Regolarizzare significa fare giustizia anche verso le aziende oneste che soffrono la concorrenza iniqua di chi impiega il lavoro nero. Si tratta di un provvedimento urgente e utile per tutti, tranne che per le mafie sfruttatrici». Se per i lavoratori dei campi si sono mosse organizzazioni di categoria come Coldiretti, per la quale senza gli stagionali dai Paesi comunitari impossibilitati a venire in Italia a causa del coronavirus, si rischia nelle prossime settimane di mettere a rischio il 25% dei raccolti, il responsabile dell’organismo della Cei ricorda le care givers nelle case degli italiani. «Penso al lavoro domestico, nel quale si stima ci siano circa 200mila non comunitari senza permesso colf, badanti e baby sitter. Molte di loro non stanno lavorando, non hanno soldi per l’affitto e rischiano di finire per strada. Non possiamo mantenere esseri umani nell’invisibilità, come dice il Papa siamo tutti sulla stessa barca».
Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana, ritiene urgente la regolarizzazione. «Perché in questa situazione di pandemia è impossibile espellere gli irregolari, perché non saprebbero dove andare e mancano i mezzi di trasporto verso i Paesi di origine. L’irregolarità in questa situazione è un’ulteriore causa di insicurezza perché un irregolare non può rivolgersi al medico». Anche Forti partirebbe dall’agricoltura. «I braccianti non comunitari sono necessari per far partire la filiera agroalimentare. I nostri referenti diocesani dei ‘Progetti Presidio’ ci dicono che nelle campagne anche la manodopera presente non può lavorare perché mancano le condizioni di sicurezza e perché mancano ad esempio i dispositivi di protezione». Cosa serve? «Una cabina di regia che affronti la questione in maniera urgente. Più i giorni passano più la situazione si aggrava, l’agricoltura non può attendere i tempi della politica. La regolarizzazione è la strada più semplice per chi sta lavorando in nero sul territorio. Garantiamo condizioni di lavoro e un salario decenti». Come agire in tempi brevi? «Si può utilizzare il decreto flussi per la conversione dei permessi di soggiorno che non riguardi persone che vengono dall’estero, ma gli irregolari in Italia. Quella del Covid-19 potrebbe essere l’occasione per restituire dignità all’agricoltura ».
Alla fine di novembre Asgi, l’associazione dei giuristi che si occupano di migrazioni, ha proposto al governo di introdurre un meccanismo di regolarizzare ordinaria esteso anche a chi cerca lavoro. «Un meccanismo del genere – afferma il presidente Lorenzo Trucco – c’è in Francia. E con una regolarizzazione da Covid- 19, il Portogallo ha dato un esempio in Europa. Credo che l’Italia dovrebbe imitarli». Può essere l’occasione anche per rivedere alcune lacune nell’ applicazione della legge sul caporalato. «Sì, spesso a fronte di disastri, si prende la spinta per arrivare a passi positivi. E bisogna fare un passo in avanti sul dramma dell’agroalimentare. La norma sul caporalato è buona, ma la parte applicativa è lacunosa soprattutto da parte delle imprese. Sopravviviamo in questo momento perché alcune persone stanno lavorando in condizioni terrificanti. L’emergenza ha reso più evidenti queste grandi disuguaglianze, la regolarizzazione può sanarle almeno in parte».