tratto da Greenreport (leggi articolo originale)
I poveri sono in gran parte lontani dai nostri radar e anche al di fuori del radar di molti governi. Esistono, noi esistiamo ma non siamo in grado di colmare efficacemente il divario.
A Roma si è tenuta la conferenza internazionale “Rural Inequalities: Evaluating approaches to overcome disparities“, organizzata dall’Indipendent office of evaluation dell’ International Fund for Agricultural Development (Ifad), durante la quale sono intervenuti 60 esperti che hanno dato suggerimenti e fatto proposte concrete che, se venissero presi in considerazione da qualche governo, potrebbero contribuire a migliorare la vita delle popolazioni rurali povere e mantenere l’umanità nella giusta direzione per i prossimi 32 anni quando avremo miliardi in più di bocche da nutrire.
Uno dei relatori, Oscar A. Garcia, dell’Independent office of evaluation dell’Ifad, ha avvertito che «Le disuguaglianze stanno aumentando. Dal 1980, l’1% della popolazione più ricca ha ricevuto il doppio del reddito rispetto al 50% dei più poveri. Dopo diversi anni di calo, anche la fame sta crescendo».
Secondo il rapporto “State of Food Security and Nutrition in the World” pubblicato nel 2017 da Fao, Ifad Unicef, Wfp e Oms, nel mondo il numero di persone con denutrizione cronica è passato dai 777 milioni del 2015 agli 815 milioni del 2016 e Garcia fa notare che «Se andiamo in profondità in queste cifre vediamo che tre quarti della popolazione che soffre di insicurezza alimentare nel mondo vive in aree rurali. Lungo il percorso della crescita economica, milioni di persone vengono escluse. Sono persone che appartengono a gruppi discriminati nelle loro stesse società. Questa discriminazione si produce per diversi motivi: religosi, etnici, di genere o e disabilità; le disuguaglianze sono multidimensionali, pluricefale e accumulative. Senza capire le cause profonde delle disuguaglianze, non potremo eliminarle e nemmeno potremo superare le enormi barriere che creano e che impediscono alle persone più povere – quelle che stanno alla base della piramide – di progredire. Senza trasformare le restrizioni che rafforzano le cause più profonde della povertà cronica, è molto poco probabile che otterremo un progresso sostanziale.
Alison Small, esperta di comunicazione ed ex funzionaria Onu, è d’accordo con Garcia si è domandata: «Se, con una valutazione prudenziale, si stimano che circa 500 milioni di piccoli agricoltori producono circa il 70% del cibo che mangiamo, perché sono ancora così invisibili in molti Paesi? I governi, le agenzie di sviluppo, le organizzazioni non governative e il settore privato lavorano da decenni sullo sviluppo rurale nei Paesi in via di sviluppo, ma le aree rurali restano molto indietro rispetto alle città e alle aree periferiche in termini di infrastrutture, servizi, sviluppo sociale ed economico, nonostante il contributo che i produttori rurali danno per fornirci il cibo».
Eppure, come dice la stessa Small, Donald Trump, il populista paladino dei super-ricchi, è stato eletto grazie al voto determinante di elettori delusi delle zone rurali, mentre in India le aree rurali hanno un’alta affluenza elettorale che negli ultimi anni è andata a favore della destra induista. La Allison fa notare che «Nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, i produttori rurali sono particolarmente vulnerabili agli estremi climatici, alla siccità seguita da inondazioni e ad altri problemi legati alle condizioni meteorologiche, insieme ai limitati servizi di quasi tutti i tipi. Non a caso troviamo che tre quarti degli 836 milioni di persone nel mondo che vivono in estrema povertà si trovano nelle aree rurali. I piccoli agricoltori continuano quindi a essere in gran parte invisibili, nonostante la nostra dipendenza dal cibo e da altri beni che producono. E’ un paradosso che sembra essere diventato inevitabile. Quello che non vedi, non ti influenza. Nei Paesi sviluppati ci preoccupiamo per l’aumento di mendicanti per le strade, che ci fanno sentire a disagio mentre li aggiriamo per entrare nei nostri caffè, banca o negozio preferiti, e a volte offriamo loro una moneta o qualcosa da mangiare o da bere. Ma i poveri nelle aree rurali ci toccano a malapena. Forse, inconsciamente, pensiamo, che vivono sul terreno, possono produrre il proprio cibo, mentre vedere mendicanti nelle aree urbane circondate da cemento è forse più identificabile come povertà».
Per Garcia «E’ necessario spostare l’attenzione della discussione sulla disuguaglianza, sia economica, politica o sociale. Dobbiamo chiederci perché decine di milioni di persone non hanno accesso all’acqua pulita. Perché le donne povere non hanno accesso alla terra. Perché in milioni vivono senza cibo sufficiente e in condizioni di vita precarie. Tanto le domande che la realtà vanno molto al di là della povertà in se stessa, dobbiamo raggiungere anche l’ultimo angolo di queste realtà e spazi nei quali le persone sono discriminate e capire i molteplici perché di tali situazioni». Sono quelli che Papa Francesco chiama gli scartati e per Garcia, «Andare verso la riduzione delle disuguaglianze richiederà prove vigorose e dati dettagliati. Esige anche che di andare oltre gli approcci tradizionali. Dobbiamo migliorare i nostri quadri di analisi, porre domande che ci consentano di valutare realtà complesse; Parla con i poveri e capire quali sono i loro bisogni. In questo modo potremo promuovere una rinnovata agenda di sviluppo che agisca efficacemente sulle disuguaglianze. I livelli elevati di disuguaglianza possono essere ridotti se siamo in grado di creare politiche redistributive mirate alla prosperità condivisa, alla giustizia sociale e alla democrazia per tutte le persone».
Ma la Allison fa notare: «Quanti turisti visitano le aree rurali, quante persone assistono effettivamente alla povertà rurale nei Paesi in via di sviluppo, e se lo fanno, forse il problema sembra così radicato da sembrare intrattabile?. I poveri delle campagne sono in gran parte lontani dai nostri radar e anche al di fuori del radar di molti governi. Esistono, noi esistiamo ma non siamo in grado di colmare efficacemente il divario. Le agenzie di sviluppo possono contare su centinaia di milioni di dollari spesi in progetti e programmi volti a migliorare le condizioni dei poveri rurali, scuole, rifugi, pozzi per l’acqua, fornitura di materiali per coltivare e altri aiuti agli agricoltori, compresa un’assistenza significativa alle donne rurali, a gruppi di donne, alle donne contadine, nonché all’estensione e all’accesso anche ad alcuni limitati servizi bancari. Il fatto è che la distanza, la povertà radicata, i pregiudizi culturali e la scarsa governance, esacerbano il divario rurale-urbano. L’ironia è che la povertà rurale aumenta la vulnerabilità dei governi all’instabilità, al terrorismo e alla vulnerabilità economica perché la povertà può essere facilmente sfruttata e i poveri manipolati. Ma se stiamo cercando soluzioni per nutrire una popolazione mondiale in crescita, che si prevede raggiunga i 9,8 miliardi di persone entro il 2050, il problema è fondamentale per la sopravvivenza umana. Aiutando i produttori di generi alimentari, la maggior parte dei quali vive nelle aree rurali e sono piccoli agricoltori, aiutiamo noi stessi, aggiungendo anche stabilità politica e prosperità economica».
I Paesi del mondo hanno approvato all’Onu l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che sono ambiziosi e l’esperta neozelandese evidenzia che «La misurazione dei progressi per raggiungere gli obiettivi è un processo di sviluppo estremamente costoso, ma i governi stanno facendo davvero degli sforzi o è solo un buon servizio dell’Onu e per l’Onu per dimostrare un qualche tipo di progresso senza apportare alcun cambiamento sistematico nel modo in cui le risorse, compresi beni e servizi, vengono divisi dai governi? La visione e l’impegno dell’Agenda 2030 sono che nessuno sarà lasciato indietro. E’ stata adottata da 150 leader mondiali nel 2015, ma abbiamo ancora molta strada da fare prima che possiamo aspettarci di vedere qualche progresso da raggiungere alla data prevista per il 2030».
Quando era a capo dell’United Nations development programme, la ex premier neozelandese Helen Clarke, dichiarò che «La nostra è l’ultima generazione che può sfuggire ai peggiori effetti del cambiamento climatico e la prima generazione con la ricchezza e la conoscenza per poter eradicare la povertà, motivo per cui è necessaria una leadership senza paura». Ma la Allison aggiunge che «Più della leadership, dobbiamo mantenere lo slancio e dobbiamo veramente prendere in considerazione cosa sta effettivamente funzionando e cosa potrebbe dover essere demolito».